di Luigi Guelpa
Un film già visto, una pellicola già proiettata altrove con il medesimo finale. Come in Egitto anche in Libia calcio e politica hanno finito per mescolarsi. Anzi, è proprio il pallone ad aver dato la stura alle proteste di piazza. Cambiano gli scenari,ma c’è un nome che per ironia della sorte si ripete:è quello dell’Al Ahly, che in arabo significa letteralmente «la nazionale». I tifosi dell’Al Ahly egiziano, guidati dal blogger Alaa abd El-Fatah, avevano organizzato la protesta contro Mubarak durante una di quelle riunioni che si organizzano per definire le coreografie allo stadio. In quel momento non potevano certo immaginare che il popolo li avrebbe seguiti.
In Libia il segnale è stato dato addirittura dai giocatori dell’Al Ahly di Tripoli, la squadra del popolo, in perenne lotta contro l’Al Ittihad che è invece di proprietà della famiglia Gheddafi. Sedici giocatori, di fatto l’intera squadra, hanno annunciato di essere passati dalla parte dei ribelli, chiedendo ufficialmente al Colonnello di abbandonare il potere. È l’allenatore Abdel Ben Issa a far da portavoce. Il tecnico, insieme a una delegazione di atleti, ha incontrato la stampa inglese in un albergo di Jadu, tra le montane libiche della regione di Nafuda, ormai controllata dal Consiglio nazionale di transizione. «Al colonnello Gheddafi chiediamo di permetterci di creare una Libia libera ha spiegato l’allenatore - da quando è salito al potere non ha fatto nulla. Non abbiamo infrastrutture e il servizio sanitario è addirittura disastroso ».
A calcare la mano ci ha pensato Jumaah Qutait, portiere della nazionale. «È tutta colpa del suo regime se stiamo vivendo in queste condizioni. Spero un giorno di svegliarmi e di scoprire che Gheddafi non c’è più. Abbiamo fatto questa scelta perché ci auguriamo che un giorno la Libia possa diventare unita e libera». Il 33enne Qutait ha un conto in sospeso con il regime. Considerato, e non a torto, tra i migliori numeri uno del calcio maghrebino, è stato fatto fuori dalla nazionale per dare spazio all’uruguayano naturalizzato Luis Alejandro De Agustini. Durante una vacanza in Florida conobbe Al Sa’adi Gheddafi. Tra i due nacque un’amicizia e Luis accettò l’invito di trasferirsi in Libia per giocare nell’Al Ittihad. E siccome il figlio del Colonnello è stato anche presidente della Federcalcio Luis ottenne in poche ore il passaporto libico, un posto nella nazionale e la fascia da capitano.
La ribellione in salsa sportiva risale a dire il vero allo scorso febbraio quando il centrocampista Djamal Mahamat, in forza ai lusitani del Beira Mar di Aveiro, era riuscito ad ospitare i quattro compagni di nazionale Abdulnaser Slil, Ali Rahuma, Omar Dawood e Ahmed Azzaqa, strappandoli dall’inferno libico. Finché Gheddafi non verrà detronizzato Djamal non potrà rimettere piede in Libia.
Soprattutto per non far la fine di Mohamed Hubail, calciatore di spicco del Bahrein che aveva partecipato alle recenti proteste di piazza e che proprio ieri il tribunale di Manama ha condannato a due anni di carcere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.