Sondaggio: a stragrande maggioranza il popolo del centrodestra vuole il partito unico. Lo vuole ovviamente con Forza Italia, Alleanza nazionale e Lega, anche se con riserve da Sud. Quanto all’Udc, una metà abbondante la vuole dentro, ma con un dieci per cento secondo cui se poi non ci sta, pazienza, noi andiamo avanti lo stesso.
Come abbiamo riferito più volte, il partito unico è già nel cuore degli elettori più che in quello dei partiti i quali procedono con i piedi di piombo degli equilibri interni. Ma per il popolo del centrodestra, la «Casa delle Libertà», o «Partito delle Libertà», è un dato già acquisito e che anzi ha avuto una accelerazione con la nascita, a sinistra, del Partito democratico. C’è un pochino d’invidia per non essere arrivati primi al processo di unificazione, anche perché l’idea era già passata e acquisita fin dalla campagna elettorale del 2001 che unificò sulle schede ciò che i partiti sei anni più tardi non sono ancora riusciti a fare. La sinistra mostra e dimostra il perché della doppia velocità, quella dei partiti e quella degli elettori: non basta decidere di unirsi per unirsi davvero, se non si dice per fare cosa. La sinistra paga questa incertezza con il prezzo delle scissioni mentre una folta pattuglia di piccoli leader si sente minacciata in casa propria. Nel centrodestra è diverso, ma il tema delle due velocità introduce la questione della leadership vista dagli elettori: quelli del centrodestra indicano Silvio Berlusconi al primo posto con il 36,1 per cento e al secondo Gianfranco Fini con il 25,9. Dunque, poco più di dieci punti di differenza, mentre un quinto degli intervistati si astiene; Casini ottiene un 10 per cento e quel che resta è frammentato, con una visibilità di Giulio Tremonti.
Ma il centrodestra, diversamente da quel che accade a sinistra dove una frattura incolmabile separa l’ala radicale da quella riformista, non rischia scissioni serie. Il problema del centrodestra non è quello di stabilire «chi siamo», come accade a sinistra, quanto «che cosa facciamo». Il sondaggio secondo noi dimostra che per gli elettori è secondario gingillarsi con la forma partito se non si stabilisce in modo chiaro a che cosa serve un partito unificato. A governare? Certamente. Ad essere alternativo alla sinistra? Non c’è dubbio. Ma poiché la politica si fa oggi in vista di domani e non del futuro storico, ci chiediamo che cosa significhi – ammesso che sia attendibile – il risultato che colloca Berlusconi premier al 36,1 per cento, che è ottimo ma non all’altezza dei fasti del passato.
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