Roma Ci sono pagine della storia italiana che si vorrebbero rimuovere. Ma poi arrivano i numeri a ricordarli impietosamente e chiudere gli occhi non si può. È il caso dei 332,7 milioni che il ministero della Salute ha destinato nel 2011 alle vittime del «sangue infetto».
La storia si riassume in due parole: a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 in Italia sono stati importati emoderivati provenienti dall’America e dall’Africa ottenuti da sangue prelevato da individui malati di Aids, epatite e altre patologie. I trasfusi hanno ovviamente contratto queste malattie e molti sono morti. Le stime parlano di circa 4mila morti e 80mila infettati. Prescrizione permettendo, eredi e superstiti hanno due strade: intraprendere una causa e sperare di vincerla (a questo scopo sono stanziati 180 milioni per le transazioni) oppure dimostrare la propria invalidità e ottenere un indennizzo equiparabile a un vitalizio (il capitolo vale 152,7 milioni). Eredità della gestione Poggiolini del servizio farmaceutico. Che bisogna continuare a pagare.
La sanità italiana non è solo questo. Per fortuna e purtroppo. Ci sono 1,7 milioni per l’assistenza ai celiaci, compresi 100mila euro per la formazione di albergatori e ristoratori in materia. Nel settore federalista per eccellenza stupiscono i 4,3 milioni per le Nuove Molinette di Torino, una voce che resiste in bilancio dal 2004 ma senza che la struttura sia stata ancora realizzata. A parte questi capitoli bisogna ricordare che il ministero guidato da Ferruccio Fazio ha a disposizione solo 1,8 miliardi di euro.
Il buco nero è altrove. E non si trova direttamente nel bilancio dello Stato. Si chiama «Fondo sanitario nazionale» e nel 2011 vale 104,8 miliardi di euro. Serve per finanziare il Servizio sanitario nazionale (Ssn), cioè i medici di base, gli ospedali, la spesa farmaceutica e via discorrendo.
Non si trova nel bilancio dello Stato perché il Fondo si compone di un mix di entrate: tutta l’Irap (33,5 miliardi), le compensazioni del Tesoro sull’Irap (5,2 miliardi), il contributo statale (6 miliardi), le addizionali regionali all'Irpef (8 miliardi) e la compartecipazione alle accise sul gasolio (1,7 miliardi). Il resto proviene dai ricavi del Ssn (ticket inclusi) e, parzialmente, dal gettito Iva che lo Stato restituisce alle Regioni (54 miliardi in totale).
Insomma, la spesa sanitaria rappresenta il 7,3% del pil e oltre il 15% delle uscite delle pubbliche amministrazioni. Ma che cosa fornisce veramente il servizio pubblico? Basta dare un’occhiata alle cronache di tutti i giorni. All'obitorio di Messina le salme sono abbandonate a formiche e insetti.
A Cosenza nello stesso ospedale e nello stesso giorno due donne sono morte di parto. Si nota di più al Sud, ma perché su 276 decessi per presunti errori sanitari accaduti negli ultimi due anni ed esaminati dalla Commissione d'inchiesta della Camera 126 sono riferiti a Sicilia e Calabria. Ma si muore anche al Nord come testimoniano alcuni episodi sospetti causati da eccessi di disinvoltura negli interventi all’ospedale di Rho.
Il risultato deprimente prodotto da questo sistema è il fatto che la sanità italiana genera perdite. I costi sono sistematicamente superiori ai ricavi. L’anno scorso il disavanzo grazie alle misure di contenimento è sceso da 3,2 a 2,3 miliardi con il 50% del buco concentrato al Meridione.
Ma quali sono le spese? I farmaci incidono per meno del 10% giacché la spesa farmaceutica nel 2010 è calata ancora a quota 10,9 miliardi, i medici generici costano 7 miliardi e gli specialisti 4, mentre protesi e altra assistenza incidono per 9,5 miliardi. Circa il 60% è rappresentato da ospedali e cliniche (49,6 miliardi le strutture pubbliche e 9,6 quelle in convenzione). Il saldo negativo è aggravato dalla mobilità dei pazienti che si fanno curare in una Regione diversa da quella in cui risiedono.
Campania, Calabria, Puglia e Sicilia pesano per 900 milioni. Meglio fare un po’ di strada che rischiare la vita. Non bisogna trascurare il costo del personale che in ambito ospedaliero supera i 35 miliardi per le 700mila unità del Ssn.
Il mix esplosivo è presto spiegato. Ecco perché la sanità pubblica per pagare i fornitori a volte impiega quasi tre anni.
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