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L'inchiesta/Così è diventata ricca Lady Fini

Ecco le carte dell’accusa di Luciano Gaucci contro l’ex fidanzata, attuale compagna del presidente della Camera: "Le intestai un patrimonio in immobili, quadri e auto di lusso solo per sottrarlo ai creditori. E lei se n’è appropriata". Ecco l'elenco di case e terreni che l'imprenditore rivendica

L'inchiesta/Così è diventata ricca Lady Fini

Sorpresa! A forza di scartabellare fra gli incartamenti immobiliari di Monte­carlo a caccia di ulteriori riscontri sull' appartamento della contessa Colleoni ereditato da An, finito a società off shore e poi nella disponibilità di Giancarlo Tul­liani, «cognato» di Gianfranco Fini, sia­no rimbalzati all'ottava sezione del tribu­nale civile di Roma. Dove l'inquilino del Principato di Monaco è tirato in ballo indirettamente dall'ex «cognato» Luciano Gaucci, fidanzato un tempo di sua sorella Elisabetta che nel frattempo s'è poi accasata (in una casa che oggi Gaucci rivuole indietro) col presiden­te della Camera che lo stesso Gaucci presentò a Elisabetta. L'ex presidente del Perugia calcio lamenta lo scippo, da parte dell'attuale compagna di Fini, del suo gigantesco pa­trimonio, affidatole allorché dovette riparare a Santo Do­mingo per le note vicende giu­diziarie. Il j'accuse all'ex fidan­zata è contenuto nelle 14 pagi­ne dell'atto di citazione nel quale Gaucci «ha convenuto in giudizio Elisabetta Tullia­ni, Giancarlo Tulliani, France­sca Frau (madre dei due Tul­liani, ndr ) e la società Wind Rose Srl». Nella causa, intenta­ta mesi addietro e affidata all' avvocato Alessandro Sam­marco, Lucianone punta a di­mostrare come la donna ama­ta per sette intensissimi anni sia riuscita a raggirarlo, arri­vando a farsi intestare beni per milioni di euro, per poi vol­targli­le spalle nel suo momen­to di maggiore difficoltà. Rico­struzione sempre smentita, punto per punto, dalla diretta interessata. Che in occasione di alcune vaghe dichiarazioni di Gaucci sulla causa intenta­ta alla Tulliani «per quattro ca­se scippate che farebbero go­la al fisco» rilanciate dal sito Dagospia e dal Giornale , ave­va fatto parlare gli avvocati: «Quanto da voi attribuito al si­gnor Gaucci è del tutto falso e gravemente lesivo della repu­tazione dell'avvocato Elisa­betta Tulliani. Abbiamo rice­vuto incarico di agire in giudi­zi­o contro chiunque abbia in­teresse a sostenere tale men­zogna ». Il documento d'accusa, agli atti della causa civile, si apre con la storia personale dell' imprenditore romano che si autodefinisce «cultore, finan­ziatore e amministratore di molte società di calcio» fino a quando non è risultato «invi­so ai 'padroni' del calcio che, d'accordo con qualche pote­re bancario (…) l'hanno co­stretto alla resa tendendogli la trappola che lo ha fatto sci­volare nella bancarotta». Co­me incipit Gaucci fa poi pre­sente che in relazione ai nu­merosi impegni (e forse in ra­gione anche della sua fuga all' estero, ma questo non lo scri­ve) egli fu costretto a instaura­re con alcune persone rappor­ti di estrema fiducia «doven­do a questi affidare non solo la gestione dei suoi affari e dei suoi beni mobili e immobili, quanto anche la intestazione fiduciaria dei beni che veniva­no acquistati e destinati spes­so a essere rivenduti per pro­curarsi denaro liquido 'in ne­ro', senza farlo passare dai bi­lanci, per 'foraggiare'... i suoi innumerevoli rapporti». E qui spunta l'amica del figlio che poi diventerà la sua compa­gna: Elisabetta Tulliani. Sempre dall'atto di citazio­ne dei legali di Gaucci: «Verso la fine degli anni '90, quando la relazione sentimentale tra Gaucci e la Tulliani si presen­tava piuttosto solida, le condi­zioni economiche del Gaucci cominciavano invece a inde­b­olirsi e a traballare ed egli ini­ziava a sentire odore di crisi. Fu così che il Gaucci, per salva­guardare parzialmente il pro­prio patrimonio, contando, appunto, sulla solidità del rap­porto di amore e fiducia che allora lo legava alla signorina Tulliani, decideva di mettere al riparo alcuni dei propri ri­sparmi investendoli nell'ac­quisto di svariati quadri di va­lore e anche di beni immobili, affidandoli e intestandoli a Eli­sabetta Tulliani e suoi familia­ri o società all'uopo costituite con gli stessi familiari della Tulliani, senza minimamen­te pensare all'ipotesi di poter essere, in futuro, 'fregato' dal­la sua, all'epoca, fidanzata». Fregato, dice lui. Che la donna dovesse esse­re solo il «mezzo» utilizzato per sottrarre i beni ai credito­ri, lo si evincerebbe, secondo l'atto d'accusa, «da un'apposi­ta 'dichiarazione di fede' fir­mata da Elisabetta Tulliani, nella quale ella riconosceva il suo ruolo di 'prestanome'». Per correttezza va detto però che questa asserita dichiara­zione formalmente non esi­ste. Non è agli atti perché, stando ai difensori di Luciano­ne, «non più reperita a segui­to delle note vicende giudizia­rie di Gaucci, nelle quali pro­babilmente è andata smarri­ta ». La disponibilità della Tul­liani a fare da prestanome, si legge sempre nella citazione, sarebbe stata sempre ripaga­ta «con regalie di ogni tipo: gio­ielli, pietre preziose, brillanti, viaggi in località prestigiose, voli aerei, un orologio con bril­lanti del valore di 40 milioni di lire, ecc, fino a spendere la ci­fra di circa un miliardo di li­re ». I beni mobili e immobili ac­q­uistati da Gaucci e che poi sa­rebbero stati «intestati fiducia­riamente ai Tulliani», l'ex pa­tron del Perugia li elenca uno ad uno al giudice De Petra: un appartamento in via Sarde­gna, a Roma, composto da un attico al sesto piano; un terre­no in località Colle Pantoni, sulla Prenestina, con annessi alcuni fabbricati; un terreno destinato a uliveto a Casapro­ta, vicino Rieti, di 2,5 ettari; un gruppo di immobili a Roma in zona Valcannuta (dove la Tul­liani abita oggi con Gianfran­co Fini) formato da cinque ap­partamenti, altrettante soffit­te, quattro box e tre posti auto scoperti. Quanto ai beni mobi­li-Gaucci sciorina un parco au­to extralusso: due Porsche, una Mercedes, un'Audi, una Mini Morris «tutte intestate a Elisabetta Tulliani per un im­porto complessivo di 500 mi­lioni di lire ». Poi svariati dipin­ti di autori famosi «tra cui uno di Guttuso, un altro di De Chi­ri­co e un terzo firmato da Cam­pigli (…) per un valore com­plessivo di due miliardi di li­re ». In coda all'elenco, fra i be­ni intestati alla Tulliani, Gauc­ci fa risalire anche le quote del­la società di Viterbese calcio (nella quale Elisabetta ricoprì l'incarico di presidente) oltre a un orologio in oro e brillanti da 40 milioni, una collana di perle, una seconda collana in oro, bracciali in oro e altri pre­ziosi. «Il tutto per un valore sti­mato di non meno di un mi­liardo di lire». A leggere l'atto di citazione il tentativo di risolvere bona­riamente la questione non so­lo non avrebbe avuto succes­so, ma le persone un tempo le­gate a Gaucci (Elisabetta e fa­miliari) avrebbero contesta­no energicamente «il conte­nuto delle richieste avanzate dal Gaucci» negando «in buo­na sostanza, palesemente, la verità». Verità che per Elisa­betta Tulliani non è assoluta­mente quella raccontata dal suo ex fidanzato. «L'unica vol­ta in cui la signorina Tulliani si è degnata di incontrare lo scrivente avvocato - è scritto in modo energico nel docu­mento - ella ha preteso che l'incontro avvenisse fuori dal­lo studio (…) e l'unico atteg­giamento che in lei si è potuto riscontrare è stato quello di mantenere la massima diffi­denza. Con fare aggressivo (di chi ha la coda di paglia), ha giustificato la compravendita di immobili effettuata tra il 1998 e il 2004 sostenendo di averle concluse con danaro proprio, dimenticando che all'epoca era una semplice praticante avvocato con nes­suna capacità di guadagno e senza reddito, come sarà di­mostrato attraverso le dichia­razioni fiscali della stessa». Nello stesso incontro avuto a quattr'occhi con l'avvocato di Gaucci, la Tulliani, sempre secondo la versione (di parte, ovviamente) del legale avreb­be detto «in modo disdicevo­le, visto il riferimento allo sta­tus del Gaucci, latitante all' estero e con la restrizione del­la libertà personale, che 'Gaucci è ormai un uomo fini­to'… ». A giustificazione dei suoi acquisti, la Tulliani ha poi parlato di una vincita al lot­to, «dimenticando - spiegano ancora gli avvocati - che però la giocata e la vincita l'ha fatta Luciano Gaucci», che in se­conda battuta avrebbe cedu­to metà della vincita (2,8 mi­liardi di lire) alla fidanzata di allora. Poi la donna avrebbe proseguito sostenendo che «tra i collaboratori di Gaucci, visto il vento contrario, molti erano disposti a 'cambiate bandiera' e a 'prendere le sue parti…' ». La cessione dei beni di Gaucci all'ex fidanzata viene spiegata con lo stesso motivo: «L'unica ragione che ha spin­to Gaucci a intestare tali pro­prietà ai Tulliani, pur avendo­le pagate esclusivamente con proprio denaro proveniente dai redditi delle sue attività, dalla vincita all'enalotto e da un prestito bancario è stata quella di tentare di evitare che tale denaro finisse in ma­no ai creditori (…). Mai il Gaucci avrebbe immaginato - soprattutto per la grande fi­duc­ia riposta in Elisabetta Tul­liani e per il grande amore do­natole e gli onori di cui l'ha co­perta, che la Tulliani potesse arrivare a voltare le spalle e ne­gare questa che è l'unica veri­tà possibile. E ciò malgrado es­sa abbia raggiunto posizioni nella scalata sociale, che si era proposta ed iniziata con i corteggiamenti a Luciano Gaucci, fin da quando aveva appena vent'anni». La chiosa che Gaucci affida ai suoi avvocati è un messag­gio per addetti ai lavori: «La si­gnora Elisabetta Tulliani era all'epoca, ed è tuttora, perfet­tamente consapevole del mo­tivo che allora spinse il signor Luciano Gaucci a intestare a lei e ai suoi familiari tali e tan­te proprietà. Tale intestazio­ne era, ed è, esclusivamente fi­duciaria, destinata all'unico scopo di sottrarre detti beni al­la eventuale esecuzione dei creditori del signor Luciano Gaucci di sue società».

Ra­gion per cui, si legge ancora nell'atto depositato al giudice dell'ottava sezione del tribu­nale civile, Gaucci sostiene che «le dazioni effettuate in fa­vore di Elisabetta Tulliani e della di lei famiglia (…) devo­n­o essere annullate con le con­seguenti restituzioni alla sua persona».

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