Politica

Linea dura di Chirac: «Ristabiliremo l’ordine»

Nella notte la rivolta arriva nel cuore di Parigi: 349 fermi e 1295 veicoli bruciati. Scoperta una fabbrica di molotov

Alberto Toscano

da Parigi

Il lungo tavolo rettangolare delle riunioni di governo all'Eliseo ha ospitato un incontro molto particolare: quello del Consiglio per la sicurezza interna, presieduto dal capo dello Stato Jacques Chirac: aveva di fronte a sé il primo ministro Dominique de Villepin e il titolare degli Interni Nicolas Sarkozy. Intorno a loro una ventina di persone, tra cui il ministro della Difesa Michèle Alliot-Marie, quello degli Affari sociali Jean-Louis Borloo, quello dell'Economia Thierry Breton e quello del Bilancio, nonché portavoce del governo, Jean-François Copé), i massimi responsabili delle forze dell'ordine e quelli dei servizi segreti interni. Alla fine il presidente della Repubblica è stato chiaro: «Chi vuole seminare violenza sarà preso e punito. Oggi la priorità assoluta è il ripristino della sicurezza e dell'ordine pubblico».
Dominique de Villepin poi ha preannunciato l'invio di rinforzi nelle aree calde del Paese: non ha specificato di quali unità si tratti e si è limitato a parlare di «forze di sicurezza». La frase è abbastanza generica da consentire varie interpretazioni: da quella di un più ampio ricorso alla gendarmeria, in aggiunta all'ormai stremata polizia, a quella estrema di un intervento vero e proprio dell'esercito.
Bisogna tener presente il fatto che la precedente riunione del Consiglio per la sicurezza interna si svolse all'indomani degli attentati del 7 luglio a Londra e in quel caso fu deciso il rafforzamento del piano antiterroristico «Vigipirate», che consente ai militari in armi di effettuare missioni di sicurezza negli aeroporti, nel métro, nelle stazioni ferroviarie e così via. Dunque l'idea del ricorso alle forze armate si è già tramutata in realtà.
Certo lo scopo della presenza dei soldati è la prevenzione del terrorismo e non il controllo dell'ordine pubblico, ma le parole di Chirac e quelle di Villepin sembrano non escludere l'ampliamento del mandato delle forze armate in caso di ulteriore alta marea della protesta dei «guerriglieri metropolitani» nell'insieme della Francia. Un'alta marea che è sotto gli occhi di tutti. L'«Intifada» è arrivata al cuore di Parigi. I fermi sono 349 e delle 1295 auto bruciate l'altra notte nell'insieme della Francia, una trentina sono andate in fumo nei quartieri della capitale vera e propria. Ma quel che è peggio è che tra i feriti ci sono 10 poliziotti, fatti segno di colpi d’arma da fuoco, e due di loro sono gravi: è accaduto ieri sera a Grigny, a sud di Parigi e i teppisti hanno usato anche fucili da caccia.
Nella città di Evry le forze dell'ordine hanno scoperto una vera e propria fabbrica di bombe molotov. C'erano i vuoti da riempire, le taniche di benzina e una sessantina di bottiglie pronte per l'uso. C'erano anche sei giovani che hanno tentato la fuga dalle cantine, ma che sono stati fermati. Tutti i distributori di benzina, aperti nottetempo, della regione parigina sono oggetto di ronde di controllo da parte degli agenti. Può capitare di sentirsi chiedere i documenti quando si va a fare il pieno.
I guerriglieri della notte colpiscono ormai ovunque, al punto che è inutile fare la lista delle città interessate: tutte le principali città del Paese. Gli obiettivi del lancio delle molotov sono sempre gli stessi: auto in sosta, autobus, simboli dello Stato. In primo luogo gli edifici scolastici. L'attacco a una sinagoga, verificatosi tre notti fa a Corbeilles-Essonne, provoca una particolare preoccupazione perché sembra indicare la strumentalizzazione di alcune bande giovanili da parte degli estremisti islamici. Il rettore della moschea di Parigi, Dalil Boubakeur, è stato ricevuto dal primo ministro Dominique de Villepin, che parlerà oggi ai connazionali dai teleschermi. Annuncerà processi per direttissima per i fermati, misure speciali a favore delle banlieues, ma non rinuncerà alla parola d'ordine del rispetto della legalità.

Parola d'ordine che sembra un sogno in una notte di mezzo autunno.

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