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L'Iran torna al passato: eletto presidente il falco integralista

Gian Micalessin

da Teheran

Ha vinto, ha sconfitto il due volte ex presidente Hashemi Rafsanjani e alla fine l'ha pure umiliato. Il 61,6 per cento dei voti conquistati da Mahmoud Ahmadinejad, contro l'appena 35,9 per cento del suo avversario, pesa più della stessa sconfitta. Una sconfitta che viste le dimensioni non viene imputata né a brogli né a irregolarità. A far la differenza questa volta non sono state le manovre del blocco conservatore, ma le scelte dell'elettorato. Di fronte alla necessità di scegliere tra un male antico rappresentato da Rafsanjani e un moderno «peggio» impersonificato dall'estremismo di Ahmadinejad, gli iraniani hanno nuovamente scompaginato tutte le previsioni. Molti elettori, ricordando i difficili anni tra l'89 e il ’97 contrassegnati dalle precedenti presidenze Rafsanjani, hanno rifiutato di turarsi il naso e hanno votato Ahmadinejad pur non condividendone le idee. Altri sono semplicemente rimasti a casa. Contrariamente alle previsioni e alle impressioni di chi, ieri, aveva visitato seggi stracolmi l'affluenza è rimasta di tre punti al di sotto del precedente turno, fermandosi al 59 per cento. Dunque l'auspicata corsa alle urne invocata da Rafsanjani e dal blocco riformista non s'è realizzata. La diga di voti destinata a bloccare il sindaco di Teheran e l'avanzata integralista è crollata prima ancora di nascere. Ed ora riformisti, moderati e astensionisti devono fare i conti con un incubo diventato realtà.
Per ora l'incubo non tenta neppure di dissimulare il proprio volto e ripete gli slogan che gli hanno consegnato la vittoria. «Adesso il nostro principale obbiettivo - ha detto ieri il 48enne Mahmoud Ahmadinejad nel corso di un breve intervento radiofonico - è la la creazione di una potente, esemplare e avanzata nazione islamica». Parole che già nei termini rivelano i suoi intenti. Dall'Imam Khomeini ad oggi tutti i leader iraniani hanno sempre parlato di Repubblica islamica. L'inedito utilizzo del termine «nazione islamica», simbolo di uno Stato dove i valori sono solo ed esclusivamente quelli religiosi, rappresenta un altro passo in avanti sulla strada del fondamentalismo. Ventiquattro ore prima il «falco nero» aveva archiviato le speranze di arrivare ad una soluzione di quel contenzioso nucleare che avvelena i rapporti con gli Stati Uniti e minaccia di portare ad uno scontro diretto con Israele. «Sul nucleare - aveva preannunciato Ahmadinejad - non siamo disposti a fare neppure un passo indietro».
Sul fronte interno Ahmadinejad sembra invece più conciliante. In passato il sindaco di Teheran ripeteva di non aver fatto la rivoluzione per vivere in una democrazia. La scorsa settimana aveva definito «oltre ogni limite» le libertà sociali concesse negli ultimi anni. Ieri l'ex ufficiale dei pasdaran è invece sembrato voler trasmettere un messaggio rassicurante alla popolazione. «Oggi - ha detto in quello che è stato interpretato come un appello all'unità della nazione - dobbiamo mettere da parte vecchi dissidi e rivalità, dobbiamo dimostrarci capaci di trasformarle in amicizia. Una grande nazione come la nostra deve essere una grande famiglia». A far paura a riformisti e militanti dei diritti umani sono i nomi dei collaboratori e delle eminenze grigie che circondano l'ex ufficiale dei pasdaran. Il più temuto è quello dell'ayatollah Mesbah Yazdi, considerato un favorito per la carica di ministro della cultura. Ideologo di quell'ala radicale decisa a trasformare la Repubblica in uno Stato islamico «tout court», l'ayatollah è stato la guida spirituale e il mentore di tutti gli uomini succedutisi alla guida dei servizi di sicurezza iraniani. Un suo insediamento alla cultura comporterebbe, secondo molti osservatori, un immediato passo indietro nel campo delle liberta sociali e l'imposizione delle vecchie regole su velo, chador integrale e separazione tra uomini e donne.

Rispettando il clima austero invocato dal loro leader e le raccomandazioni della Suprema Guida Alì Khamenei, i sostenitori di Ahmadinejad hanno ieri evitato qualsiasi celebrazione pubblica.

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