Milano - Maestro Muti, dunque anche il sovrintendente Lissner ribadisce che sarebbe ben contento di avere la sua presenza alla Scala.
«Ho letto. Ho appena finito di leggere l’intervista sul Giornale e sono seccato dalle parole di questo signore. Sono stufo di vedere il mio nome usato con bugie o sproloqui. È da quando ho lasciato la Scala che lavoro per conto mio, tranquillo, senza rompere niente a nessuno. E tranquillo voglio stare».
Non capisco che cosa ci sia di inatteso o di strano. Il sovrintendente mostra il desiderio di raggiungerla dove sia più opportuno, per convincerla a ritornare.
«Il signor Lissner dice che vorrebbe tanto incontrarmi. Ma non mi ha mai cercato. Da lui non ho ricevuto mai né una telefonata né un biglietto. Posso dire di non conoscerlo. Lui ha raccontato di un incontro quand’era manager di un’altra orchestra tanti anni fa ed io ho diretto la Filarmonica di Philadelphia nella sua città; ma ne incontravo tanti, non ricordo, si è trattato comunque di un episodio molto rapido. Mi aspettavo poi almeno un biglietto di cortesia quando è arrivato alla Scala, dato che in quel teatro avevo speso tanti anni; ma nemmeno quello mi è mai arrivato».
Sarà mancata la circostanza opportuna... Lissner mi ha dichiarato che sarebbe disposto ad andare dovunque, se fosse utile.
«Forse lo avranno informato che mi sono trasferito in un igloo; ma penso invece che saprà che non sarebbe dovuto andare troppo lontano. Sono spesso a Piacenza, ad esempio, con l’orchestra Cherubini... Non so che occasione aspetti. Certo, ne ha persa una a Salzburg, quando è venuto ad ascoltare l’Otello diretto da me. Il sovrintendente del festival Jurgen Flimm mi ha detto di avergli chiesto “perché non vai a trovare Muti?”, ma lui non è venuto in camerino né poi».
Peccato: negli incontri diretti è sempre tutto più chiaro. Parlare nelle interviste a volte non lascia tempo per precisazioni...
«Che è meglio dare per amore di verità. Anzi, proprio per amore di verità a questo punto colgo l’occasione a proposito di un’intervista a Claudio Abbado sul Corriere della Sera dove il mio collega dice che mi aveva proposto di lavorare insieme, in una direzione condivisa. Senza polemiche, vorrei precisare che non me ne è mai giunta alcuna richiesta né da lui né dal teatro; e non l’avrei naturalmente accettata perché non avrei mai tradito il teatro Comunale di Firenze con cui vivevo anni meravigliosi».
Ma che cosa sente oggi per la Scala?
«Non mi riconosco quando mi dite che sono amareggiato, io mi amareggio solo quando mi sento in colpa. E non è proprio il caso. Per quello che riguarda la Scala, sottolineo che non rimpiango neanche un giorno di quei diciannove anni di direzione musicale. Anni bellissimi. E anni di grandi proposte non soltanto a Milano, ma in tutto il mondo».
Già, allora meta delle tournée erano le grandi capitali della musica.
«Siamo stati a Parigi, New York, Tokio, Sud America, Mosca, Salzburg, Vienna...».
Ho riguardato qualche giorno fa gli elenchi, per una pubblicazione. In 19 anni ha diretto una cinquantina d’opere, compresa la trilogia mozartiana, quella verdiana e la tetralogia di Wagner. Ho anche notato un dato, che nella messe di produzioni non risaltava: credo che abbia diretto più di tutti gli altri alla Scala la musica contemporanea, anche con commissioni a compositori.
«Ma è un capitolo chiuso.
E noi a Milano faremo di tutto per non lasciarlo.
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