L'italiana che custodisce i tesori musicali dell'umanità

Da precaria a 500 euro l'anno a dirigente della fondazione di Basilea che raccoglie gli spartiti dei musicisti moderni

L'italiana che custodisce i tesori musicali dell'umanità

Angela, che per la passione ha lasciato il paradiso del mare - l'isola di Ischia dove è nata - chiamata a gran voce dalle sirene della musica. Ce l'ha fatta, altroché: è un pezzo grosso della musicologia, già da un po' di tempo arruolata da una delle realtà culturali più importanti a livello mondiale. Dall'eden campano la strada è stata tutt'altro che facile però e l'approdo giusto alla fine l'ha offerto una terra oltreconfine, la Svizzera. No, lei non vuole sentire parlare di «cervelli in fuga» perché «è successo e basta».

Una storia che comincia dopo gli studi, quando di storia - come da copione - ne inizia subito un'altra, quella arcinota del precariato nell'eccellente mondo accademico italiano. A conti fatti una super gavetta («a un certo punto non ho neanche più contato i concorsi andati a vuoto», osserva) con obiettivo di un posto come docente; ça va sans dire, aveva tutte le carte in regola per farcela («dormo poco e ho sempre studiato tantissimo», confida); basta leggere i suoi titoli per restare di stucco: un curriculum da paura. È stata dura per Angela, secondo nome Ida, cognome De Benedictis. In patria, ricercatrice precarissima «mi pagavano 500 euro l'anno», praticamente una mancia. Ai tempi supplementari ecco per lei arrivare l'agognata posizione all'università di Cremona, diventa prof. Miracolo, traguardo raggiunto: «Avevo 47 anni, ero un po' delusa ma andava bene lo stesso». Per la serie i colpi di scena non mancano mai, ecco spuntare l'avvenimento del destino, un contrappeso maturato in silenzio, nel tempo.

TRE PIANI DI NOTE

Mentre faceva conferenze, scriveva libri e si faceva notare con i suoi lavori saggistici sulla scena internazionale in attesa del «concorso della vita», qualcuno non troppo lontano la «teneva d'occhio», un ente prestigiosissimo che si chiama Fondazione Paul Sacher, si trova a Basilea, dove vengono conservati alcuni patrimoni musicali dell'umanità, i fondi dei maggiori compositori del Novecento - da quello «storico» a quello avanzato - e di autori contemporanei in vita. Produzioni d'arte di personaggi del calibro di Igor Stravinskij, Luciano Berio, Pierre Boulez ma anche Salvatore Sciarrino, Helmut Lachenmann e Louis Andriessen solo per citarne alcuni.

Oggi la professoressa De Benedictis, 51 anni, vive nella città svizzera ed è uno dei pochissimi responsabili scientifici dell'istituto, l'unico in tutto il mondo nel suo genere che porta il nome di un signore che in vita è stato ricchissimo - Paul Sacher - che, disponendo di fondi illimitati appunto, per amore dell'arte dei suoni moderni e delle menti che la coltivano ha fondato questo gioiello del sapere occidentale. Giusto per cominciare a capire: tre dei piani della sede sono occupati da casseforti a prova di bomba atomica che custodiscono i preziosi materiali, i più diversi, a partire da appunti e spartiti tradizionali, in alcuni casi opere elettroniche, oppure opere senza né carta né nastro, i lavori dei «live electronics». Un vero e proprio tesoro inestimabile, che a mano a mano si amplia, si arricchisce nei più diversi modi, per esempio «attraverso lasciti, donazioni, cessioni». Occuparsene è una meta professionale ambita da molti, si capisce. «Non sono di certo fuggita dalla mia nazione - fa eco al telefono l'esperta -. Non direi così, semplicemente sono stata chiamata dal direttore della Fondazione Sacher e ho detto sì all'incarico che mi ha offerto sulla base del mio profilo. Non ho dovuto fare esami o test. Dopo un lungo periodo di difficoltà però è stato l'avverarsi di una forma di giustizia, hanno riconosciuto a pieno il mio lavoro». Lei, che lavora nel centro da qualche anno, adesso si occupa di una trentina di fondi su oltre 120. Non per caso ma per volontà si arriva fin qui, grande passione, dedizione enorme. Quasi una missione.

TUTTO INIZIÒ CON UN DIVIETO

«Ho fatto il Conservatorio a Matera, che non è la città che conosciamo oggi capitale della cultura - racconta Angela - là c'era poco, anche se ricordo quel periodo con grande piacere ed è un luogo che ho nel cuore. Per certi spartiti, però, dovevo andare a Napoli. Forse questo è stato il primo stimolo, poi rimasto per la vita, ad andare, cercare altrove, spingermi oltre e più lontano».

Diploma in strumento a Potenza dove ha trovato «una straordinaria insegnante di storia della musica, Marta Columbro»; ma è proprio nella terra dei Sassi, narrata dallo scrittore Carlo Levi, che ha scoperto e poi imparato ad amare la musica contemporanea, lì - dal suo insegnante di flauto - è stato detto «quel no che mi ha spinta verso quella direzione». L'oggetto del desiderio era lo spartito di Density 21,5 del compositore Edgar Varèse che le venne «vietato perché non era nei programmi ministeriali». Da allora ha sempre avuto la voglia di analizzare la musica, di capire prima ancora di ascoltare, o almeno tutte due le cose insieme. Una sete di conoscenza che l'ha portata alla facoltà di musicologia di Cremona, tappa di un viaggio che culminerà proprio a Basilea.

«In principio il mio sogno era diventare direttore d'orchestra - ammette - E infatti per prendere quella direzione mi sono trasferita all'Aquila per studiare pure composizione, tenendo aperte più strade». Poi quella definitiva della studiosa-stakanovista pronta a fare qualsiasi sacrificio per scandagliare i segreti del pentagramma. Per dirne qualcuna: è arrivata a fare lezione in università con sua figlia; quando ha vinto la borsa di studio a Berlino era lì con la bimba che non aveva neppure un anno.

E ancora, un'altra impresa da super-mamma: a due giorni dalla nascita del secondo figlio è partita per Padova, dove aveva organizzato una conferenza sul compositore Luigi Nono; c'è anche una foto di lei al microfono mentre allatta il piccolo. E rivendica tutto ciò con orgoglio, come donna: «Va detto che la maternità non è una malattia e per la passione si fa questo e altro. Semmai può essere una malattia non avere passioni».

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