Politica

Londra, 55mila euro di sussidio pubblico al terrorista somalo

Yassin Omar, il fallito attentatore del 21 luglio, viveva da sei anni come rifugiato politico a spese del contribuente inglese

Guido Mattioni

nostro inviato a Londra

Ieri mattina, il proverbiale aplomb dei londinesi è finito con un gesto stizzito, insieme al giornale fresco di stampa, nei bidoni della spazzatura allineati in bell’ordine fuori dalle porte delle loro immacolate townhomes. Oppure infilzato, nei mille e mille pub della periferia, con una freccetta accompagnata da un’irripetibile imprecazione in puro dialetto cockney. Questo perché ieri mattina, dalla stampa o dalla tv, i concittadini di sua maestà hanno appreso che il somalo Yassin Hassan Omar, uno dei due falliti attentatori del 21 luglio scorso, individuato proprio lunedì da Scotland Yard assieme al suo complice Muktar Said Ibrahim, riceveva dal 1999 un generoso sussidio di povertà concessogli in quanto immigrato con asilo politico.
Nelle sue tasche, direttamente in arrivo da quelle dei contribuenti britannici, sono così finite puntualmente ogni settimana, a partire da allora, 88 sterline a titolo di rimborso per le spese d’affitto. In sei anni fa un totale di 25mila sterline. Alle quali vanno aggiunte altre 13mila sterline ricevute come sostegno al reddito. Complessivamente, quindi, 38mila sterline (pari a 55mila euro) sono state graziosamente girate a chi, in quella stessa abitazione al nono piano di un condominio di Courtis House, a New Southgate, passava il tempo a confezionare ordigni assassini.
Così ora, paradossalmente, altri soldi - e parecchi - dei contribuenti inglesi vengono bruciati ogni giorno per stanare dai loro nascondigli lo stesso Omar e i suoi complici. La macchina della colossale caccia all’uomo prosegue infatti senza soste e vede impegnati 3.000 agenti. Come quelli che l’altra mattina, all’1.30, hanno tirato giù dal letto una ventina di famiglie abitanti negli appartamenti agli ultimi piani dello stabile di Courtis House, ricoverandoli per la notte in un centro di accoglienza prima di fare irruzione. Nell’appartamento-covo non c’era nessuno, ma gli inquirenti avrebbero trovato parecchie prove, tra cui i solventi usati dal commando per realizzare la miscela esplosiva.
Sammy Jones, 33 anni, madre di due bambini, una delle persone svegliate nella notte, ricorda perfettamente quell’andirivieni di gente e materiali. «Proprio qualche settimana fa ho visto Omar e i suoi amici rientrare portando in più viaggi almeno una cinquantina di scatole». Le stesse intraviste dalla porta socchiusa dell’ascensore da altri inquilini. Ma alla domanda su che cosa fosse e a cosa servisse tutto quel materiale, la risposta era stata per tutti la stessa: «Sono solventi per scollare la carta da parati».
Gli abitanti dello stabile ricordano inoltre che Omar, «un tipo facilmente irritabile che vestiva quasi sempre abiti tradizionali africani», ospitava da un po’ di tempo un amico, «un certo Ibrahim, che si faceva chiamare da tutti George» (era Muktar Said Ibrahim, individuato lunedì come il kamikaze che il 21 luglio aveva tentato di farsi saltare in aria insieme ai passeggeri dell’autobus della linea 26). E proprio ieri il padre di George è stato rintracciato e interrogato dalla polizia. L’uomo, di origine somala ma residente nel Regno Unito dove era emigrato nel ’92 con la famiglia (compreso il figlio allora quattordicenne), ha dichiarato di essere rimasto «scioccato» dal coinvolgimento del giovane negli attentati.
Ibrahim, ha reso noto ieri il ministero degli Interni, ha ricevuto proprio lo scorso anno la cittadinanza e il passaporto britannico. E una storia analoga è quella di tutti i componenti della famiglia di Omar, arrivati qui anche loro nel ’92 usufruendo dello status di rifugiati. Gli investigatori calcolano che siano almeno 46mila i somali che hanno chiesto asilo politico negli ultimi 12 anni grazie alla norma che, tenendo conto della drammatica situazione politica di quel Paese, impedisce il rientro forzato di quegli immigrati. Adesso la preoccupazione è che in questo modo, tra i molti autentici perseguitati politici, sia potuta entrare in Gran Bretagna anche una nutrita pattuglia di potenziali terroristi. Il Corno d’Africa, si scopre insomma adesso, potrebbe aver rappresentato un pericoloso anello debole nella guerra britannica al terrore, strabicamente concentrata a controllare soprattutto, se non soltanto, chi arrivava dall’Asia e dal Medio Oriente.
Si spiega così, adesso, la frenetica attività di verifica di migliaia di schede di rifugiati giunti da quell’area negli ultimi anni. Verifica che viene fatta soltanto ora.

Quando forse è un po’ tardi per chiudere i cancelli.

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