Esempio. Se uno punta a dimostrare che Milano è la città più divertente del mondo, e per far quadrare il suo teorema considera fondamentali i seguenti parametri: numero di risotti con la luganega consumati in autunno e massima lentezza di un bus urbano (la «54»), il risultato è matematico. Milano si piazzerà al primo posto, mentre New York veleggerà laggiù, dalle parti del 147º. Siamo sempre lì: dipende dai criteri, dai parametri che uno sceglie di utilizzare. Purché i parametri in questione, se uno non vuole essere colto in castagna, siano sufficientemente seri e documentabili (come le clamorose assenze dalla scena della «54», per l'appunto). Se poi uno ha a disposizione un giornale, e vuole impressionare i suoi clienti, allora fa come hanno fatto i colleghi dell'Independent di Londra, ai quali è sembrato giusto confezionare un pacco ai loro lettori - è Natale anche lassù - spiegandogli (con un titolo-lenzuolo, e una foto grande così) che sì, «Londra è la capitale del mondo». Meglio di New York, di Parigi, di Madrid. Meglio di Roma ovviamente, che nella svelta classifica che viene d'oltremanica si piazza a un miserabile nono posto.
Il «raffronto più esaustivo mai compilato», roba che ci sono voluti «mesi di ricerche e di analisi», trilla l'Independent, per nulla sfiorato dal sospetto di un eccesso di sciovinismo. Ora, che Londra sia una delle più belle, intriganti, affascinanti, dinamiche città del pianeta, non ci voleva l'Independent per scoprirlo. Sono i criteri scelti, e quelli invece trascurati, che inducono al sorriso. Uno ci legge quello che vuole. Sicché ha ragione Ken Livingstone, sindaco della capitale del Regno Unito, quando vede il primato della sua città nel «multiculturalismo» che la pervade, visto che ci si parlano 300 diverse lingue. Per Livingstone è un vanto. Altri potrebbero arguire che da una siffatta, diabolica babele, conviene tenersi alla larga; se non fosse per la magnifica stagione teatrale, il cambio della guardia e i grandi magazzini Harrod's dove trovi di tutto, dal caffè espresso alla tenda per il polo nord.
Dicono i colleghi dell'Independent che sono stati 14 i criteri scelti per stilare la classifica. Tra questi vi figurano i chilometri di rete metropolitana, il numero di orchestre sinfoniche, la quantità di voli in partenza ogni settimana dai suoi aeroporti, la capitalizzazione del mercato azionario giù fino al numero di pagine che appaiono sullo schermo quando uno clicca su Google la parola London. Decisiva, agli stilatori della classifica, è parsa anche la quantità e la varietà di ristoranti etnici che vi hanno trovato ricetto (neanche a New York, per dire). Preziosi punti, per trovare la quadra della ricetta, sono venuti anche dalle volte in cui una città è stata sede di Olimpiadi. Due per Londra (1908 e 1948) e tre con le prossime, quelle del 2012.
Là dove i professori dell'Independent ci pare abbiano un filino toppato è sulla quantità di luoghi così fondamentalmente belli e fondanti per il genere umano da essere protetti dall'Unesco: così c'è scritto nell'articolo del molto compiaciuto collega Simon Calder. Ora, che a Londra sia sfuggito il fatto che l'«intero» centro storico di Roma è sotto l'ala dell'Unesco pare strano, per gente che ha speso «mesi di ricerche e di analisi». A meno che non si voglia, surrettiziamente, affermare che Roma è Roma, e la Città del Vaticano, con la Cappella Sistina, i musei e Caravaggio e San Giovanni fuori le mura è cosa diversa. Quelli sono capaci.
Al secondo posto della graduatoria dell'Independent c'è naturalmente New York, mentre Parigi è terza «grazie al suo fervore finanziario» e al traffico dei suoi aeroporti internazionali. Ma certamente avranno considerato i flussi turistici, l'impareggiabile bellezza del Quartiere latino o di Montmartre e certe pitture esposte in un certo museo. Purtroppo, dove Parigi perde punti, e irreparabilmente,di fronte ai pensosi compilatori dell'Independent, è sulla cucina. Possibile? Possibile.
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