Londra non fa sconti e tassa anche le banche

Londra fa da apripista, Berlino e Parigi sono pronte a seguirla. La tassa sulle banche non è più un’ipotesi, nè un semplice esercizio accademico buono per animare i consessi internazionali, ma una realtà. Lo è già per gli istituti britannici, dopo l’inserimento della misura nella manovra da lacrime e sangue di churchilliana memoria presentata ieri dal governo inglese; lo sarà nei prossimi mesi per quelli di Germania e Francia. Incuranti delle voci contro la stretta sul credito che si sono levate, i tre Paesi hanno deciso di parlare con una sola voce al G20 che si terrà a Toronto nel week end. Al vertice dei capi di Stato e di governo proporranno un giro di vite fiscale sugli istituti, motivandolo con l’esigenza di far pagare il costo degli interventi per il salvataggio del sistema bancario. Queste tasse, si legge in una dichiarazione congiunta, «possono differire una dall’altra, riflettendo le condizioni economiche e i sistemi fiscali differenti tra un Paese e l’altro, ma il livello della tassa terrà conto della necessità di assicurare un equilibrio».
Anche se queste parole sembrano lasciare ai singoli Paesi spazi di autonomia decisionale, il rischio è quello di provocare una spaccatura all’interno dell’Unione europea. Nonostante l’accordo di massima raggiunto la scorsa settimana, sulla questione manca ancora una vera quadratura del cerchio. La stessa mancanza di coesione e di unità di intenti ha peraltro portato il Vecchio continente a gestire la crisi finanziaria in maniera disordinata, finendo nel mirino dei mercati.
Lo strappo è ancora più probabile visto che, qualunque sia l’esito del G20, la triade ha già deciso che la tassa dovrà essere applicata. La Gran Bretagna l’ha praticamente già messa in atto con un provvedimento che andrà a colpire il totale di bilancio nella misura dello 0,04% nel 2011, per poi passare allo 0,04%. Secondo le prime stime, il gettito per il fisco inglese dovrebbe essere di circa 2,4 miliardi di euro l’anno.
La manovra da 40 miliardi di sterline presentata ieri dal cancelliere dello Scacchiere, George Osborne (il neo premier David Cameron ha preferito rimanere defilato, sedendosi in seconda fila alla Camera dei comuni), prevede inoltre un aumento dell’Iva l’anno prossimo dal 17,5% al 20% e un aumento dal 18% al 28% della tassazione dei capital gain, a partire dalla mezzanotte di ieri, ma solo per i cittadini con alti redditi. Anche la Corona britannica farà la sua parte nell’azione di risanamento dei conti pubblici: la regina Elisabetta ha infatti accettato il congelamento dei contributi da parte del governo. Inoltre, saranno congelati per 2 anni gli stipendi pubblici.
Quanto alla decisione di tassare le banche, Osborne ha spiegato che il fallimento di alcuni istituti ha imposto dei costi enormi al resto della società, ed è quindi «equo» che gli istituti finanziari contribuiscano all’economia. Il cancelliere ha poi definito «ingiusta e irragionevole» la richiesta che il G20 attenda prima che ciascun Paese membro applichi una imposta simile all'interno dei propri confini.
Londra si presenterà dunque a Toronto senza un ramoscello d’ulivo in mano. E altrettanto faranno Francia e Germania.

Parigi ha già fatto sapere che presenterà i dettagli sulla tassazione del credito nella prossima finanziaria, mentre la Germania, che ha già annunciato le linee generali di una tassa sulle banche a fine marzo, intende varare una legge entro la fine dell’estate. Ma in Canada, dove gli stessi padroni di casa si sono già espressi contro la tassazione al pari di Brasile, Australia e India, il pressing della triade rischia di finire in fuorigioco.

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