Londra - Prima l’isola Ascension per non sollevare troppe polemiche. Poi Rockall e alla fine una fetta bella larga dell’Oceano Atlantico che circonda le isole Falkland. Nei prossimi anni queste potrebbero essere le ultime conquiste territoriali del nuovo Impero britannico. Una distesa di miglia e miglia di fondali sottomarini in grado di assicurare ai nuovi legittimi proprietari incommensurabili ricchezze nascoste: petrolio, minerali e altri tipi di gas redditizi. Sembra quasi una storia da fantageopolitica e invece è molto più di un’ipotesi balzana dato che si tratta di una richiesta che verrà presentata dalla Gran Bretagna alla commissione dell’Onu per i limiti della piattaforma continentale. Ma può un Paese chiedere l’annessione di territori tanto lontani dai suoi confini? Ci può provare. Basti ricordare le recenti polemiche per le mire russe sul Polo Nord.
Il quotidiano britannico "The Guardian" scrive, senza dare dettagli nel merito, che esistere un nuovo iter del diritto internazionale che consente di modificare l’attuale geografia politica. Ne ha approfittato l’Inghilterra per mettere nero su bianco le proprie richieste prima che scada il termine massimo fissato dalle Nazioni Unite per il maggio del 2009. In base a un trattato internazionale, infatti, con il supporto di dettagliate relazioni geologiche e geofisiche effettuate da scienziati e idrografi, ogni Stato può ridefinire la propria “piattaforma continentale esterna” che può estendersi fino a 350 miglia dalla linea di costa.
I dati necessari da allegare alle richieste britanniche sono stati raccolti in larga parte e Chris Carleton, membro dello “Uk Hydrographic Office” nonché uno dei maggiori esperti della divisione giuridica delle acque marine, ha spiegato al Guardian che dei colloqui preliminari per Rockall (un piccolo scoglio disabitato a 320 chilometri al largo della Scozia) si terranno già la settimana prossima a Reykjavik, in Islanda. Ma se in questo caso un accordo pacifico appare probabile, lo stesso non si può dire per il territorio marino intorno alle Falkland (rivendicate dall’Argentina) che, secondo Carleton, si presenta come area esplosiva, foriera di dispute territoriali. Per queste isole dell’Atlantico Gran Bretagna e Argentina si fecero guerra 25 anni fa.
Il valore dei giacimenti petroliferi sottomarini nella regione sembra immenso: si parla di 60 milioni di barili. Londra ha ottenuto le licenze per prospezioni intorno alle isole entro le normali 200 miglia dalla costa, ma ora, se le sue richieste venissero accolte, il limite si estenderebbe più in là. «Il governo di Buenos Aires afferma che una richiesta simile non rientra nei nostri diritti, tutto - ha detto ancora Carleton - è ancora un po’ confuso».
Per non esacerbare gli animi - proprio all’inizio di quest’anno l’Argentina ha gettato nel cestino della carta straccia un accordo del 1995 con Londra per la divisione di ogni giacimento petrolifero trovato nelle acque adiacenti - la prima applicazione formale da parte britannica riguarderà l’isola dell’Ascension, un’isola vulcanica a mille miglia dalla costa africana. Sui fondali che la circondano si troverebbe una notevole quantità di depositi minerari.
È evidente che dietro alla volontà di ridisegnare confini più ampi ci sia soprattutto la ricerca di nuove ricchezze da sfruttare. «I russi forse vogliono l’Artico, ma gli inglesi stanno reclamando una larga fetta dell’Atlantico. Alcuni Paesi - ha dichiarato sempre al Guardian Martin Pratt, direttore del Dipartimento di ricerca sui confini internazionali all’università di Durham - si chiederanno come ciò sia possibile. Eppure la legge lo consente». Certo la convenzione internazionale fissa condizioni ben precise. Gli Stati possono registrare i loro diritti «stabilendo la misura della piattaforma continentale, dimostrando di rientrare nei limiti stabiliti per lo spessore delle rocce sedimentarie».
Una volta delimitata, la superficie oceanica reclamata può arrivare fino alle 60 miglia nautiche calcolate dal punto più basso della piattaforma.
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