
A Palazzo Cicogna, nel cuore di Milano, la Salamon Fine Art custodisce un patrimonio che attraversa secoli e continenti, dalle onde di Hokusai alle incisioni di Piranesi, tra le tempeste di Turner e i sogni di Chagall. Se varchi la soglia di questo pantheon dell'arte durante la pausa pranzo, niente padrona di casa. Lorenza Salamon è chiusa nello studio, al pianoforte.
Da qualche anno la signora Salamon - anche nel comitato organizzativo di Amart, kermesse milanese dell'antiquariato - ha deciso di rimettersi alla tastiera. Si è iscritta alla Piano Summer School di Stowe, corso intensivo ferragostana nel Buckinghamshire. Sette giorni che ne richiedono 365 di allenamento. Docenti di fascia alta insegnano a 94 pianisti en amateur medici, avvocati, accademici, fisici, informatici, persino tre novantenni in un'esperienza immersiva tra 24 Steinway, una serie di sale studio e tre da concerto, in un parco di 500 acri progettato da Capability Brown, il padre del giardino all'inglese. Lì, tra Cambridge e Oxford, ogni anno si riaccendono fiamme musicali sopite. E Salamon non è mancata neppure quest'anno.
La musica, in casa Salamon, è un gene di famiglia. Il bisnonno Luigi Villa, violinista al Regio di Torino, venne diretto da Toscanini. Suo padre contribuì a fondare un'orchestra barocca. Lei, torinese di nascita e milanese d'adozione, a sei anni già imbracciava il violino prima di votarsi al pianoforte seduta da Anita Porrini, allieva prediletta di Arturo Benedetti Michelangeli. "A lei devo la corretta impostazione che mii ha permesso di riprendere anche dopo lunghe pause", racconta.
Interruzioni per un lavoro avviato giovanissima e travolgente al punto da dover rinunciare sia all'università sia alla musica. È tornata alla tastiera a quarant'anni, iscrivendo i figli all'Albero dea musica, scuola milanese che invita genitori e figli a suonare assieme. Con Carlo Patriarca, ora primario di Anatomia patologica a Como, e Antonio Schgör, ingegnere, fondò un trio. Poi, di nuovo, la bottega dell'arte divorò la tastiera.
Oggi il pianoforte è rientrato stabilmente nella sua vita: nella galleria, nello studiolo di casa, dove troneggia un Bechstein tre quarti di coda dono che si fece alla nascita del terzo figlio . Salamon si esercita un'ora al giorno e tre nei fine settimana. Per l'Inghilterra ha messo in valigia l'Arabesque di Schumann e il primo movimento della Patetica di Beethoven. Confrontarsi con altri pianisti amatoriali è un arricchimento, ti costringe a controllare le emozioni, a concentrarti davvero, dice.
Alla Scala la si vede solo per la sinfonica e la cameristica, predilige la Sala Verdi del Conservatorio dove ultimamente ha seguito, tra gli altri, Volodos, Sokolov, Belyavsky, Uchida. "Milano offre molto, quattro sale principali e un'attenzione crescente verso i giovani; direi un 7+ per la musica classica e un 8 per l'arte". L'unica mancanza, secondo lei, sono i luoghi di incontro per musicisti amatoriali: "In Inghilterra esistono circoli, festival e iniziative private dove ci si incontra per il puro piacere di suonare e condividere. Qui poco o nulla".
Gallerista instancabile e pianista determinata, Salamon vive tra due arti sorelle.
Cosa hanno in comune e in cosa divergono? "La musica è un'arte ancor più somma, riesce a muoverci nel profondo, entra nelle viscere. In casi di malattie degenerative, la musica riesce a recuperare meccanismi ancestrali, smuove e scuote. La pittura no". Parola di chi, tra un Turner e un Beethoven, ha scelto di non scegliere.