L'"Osservatore Romano" beatifica Tex

Il pistolero più famoso del West ringrazia: "In fondo ho mandato mio figlio a studiare dai frati francescani..." e precisa: "Okay, sono un eroe del bene ma non uno stinco di santo"

L'"Osservatore Romano" beatifica Tex

di Tex Willer*

Qui in Texas non arriva l’Osservatore Romano. È stato il mio amico El Morisco a spedirmi un telegrammada Pilares, laggiù in Messico. Quel vecchio saggio ogni tanto ha a che fare anche con i preti. Ho letto e ho pensato a uno scherzo. Cosa ne sanno a Roma di me? Ma l’egiziano non è un burlone e sembra che sia tutto vero. Io, Tex Willer, cowboy, ranger, pistolero, capo dei Navajos, agente indiano, sono una sorta di paladino dei valori. Un giornalista mi ha definito esempio di rettitudine morale. Il risultato è che ora mi tocca sopportare le battuttacce di quel vecchio cammello di Kit Carson, uno che non ha perso il vizio di mangiare montagne di patatine fritte e inseguire sottane. Non sono uno che mette spesso piede in chiesa. Di uomini ne ho uccisi tanti. E per alcuni di loro non ho rimorsi. Non sono uno stinco di santo. Non mi ci vedo davvero a stare lì, fermo, su un qualche tipo d’altare. Quello che posso dire è che non ho paura di guardarmi in faccia e non faccio sconti alla mia coscienza. Ho una mia idea della giustizia. Non sopporto i farabutti e i prepotenti. Non sopporto chi se la prende con i più deboli. Non so se questo abbia a che fare con la religione. So che ha a che fare con quello che sono: un uomo. Mia moglie, la dolce Lilith, ha studiato dai francescani, in un convento di Santa Cruz. Quando è morta, stroncata dal vaiolo e dalla miseria di una banda di rinnegati, non ho avuto pietà. Mi sono vendicato, come il dio della Bibbia, quello con la barba bianca, piuttosto irascibile. Ma ho mandato mio figlio dagli stessi frati. So che Lilith avrebbe voluto così, per insegnare a Kit la parola perdono. Non sempre è facile perdonare, ma qualche volta io e i miei pard ci siamo riusciti. La nostra idea di giustizia può sembrare ai bellimbusti di Washington un po’ troppo spiccia. Se posso cerco di portare ladri e assassini di fronte a un giudice. Non sempre loro sono d’accordo e se cercano di spedirmi dall’altra parte allora sparo per primo. Non è il modo migliore per ripulire il mondo, ma da noi nel West funziona così. La pistola spesso è l’unica legge. Ho imparato che ci sono valori che non puoi rinnegare. Non ho mai smesso di amare Lilith. Ho imparato dagli indiani che ciò che ti lega agli amici è un patto di sangue. Una fratellanza che non cerca scuse. Gli amici sono quelli per cui sei pronto a morire. Questo fa di me un santo? Non credo, ma è una buona ragione per stare su questa terra. Il West è uno strano orizzonte. I buoni non sempre finiscono bene. Il pacifismo è roba da mormoni e non nascondo che ci vuole un certo coraggio per porgere l’altra guancia quando ti prendono a cazzotti. Ma è una cosa che non fa per me. I pugni preferisco darli. Da queste parti c’è gente che non merita misericordia. Ne ho incontrati tanti di farabutti. Ricchi allevatori che dettavano legge sui miserabili. Assassini nati, traditori senza speranza, piccoli uomini pronti a vendersi per pochi spiccioli, gente avida, senza valori, senza dignità. Io vivo all’incrocio di due culture. Non ho mai rinnegato questo Paese, anche quando era diviso tra due bandiere, nella brutalità della guerra civile. Non ho mai smesso di essere un bianco. Ma ho sposato una donna indiana e vivo tra i miei Navajos. E questo mi ha permesso di guardare il mondo senza pregiudizi. Non vedo bianchi, neri, gialli, marroni davanti a me. Vedo uomini. Alcuni giusti, altri meno. Ho conosciuto dei veri satanassi. Qualcuno di loro ancora mi fa venire i brividi. Penso a quello stregone di Mefisto. Il male assoluto. El Morisco una volta ha usato una parola che fatico a capire: il male metafisico. Non lo so. Ricordo solo lo sguardo di Mefisto. Era tremendo già la prima volta che l’ho incontrato, quando era solo un mago girovago, un illusionista. La sua follia l’ha condotto in sentieri che sono al di là della natura umana. Ma ho conosciuto anche il male banale, quello di ogni giorno, lo sceriffo corrotto o il generale imbecille. Si sta facendo sera e scrivere non è il mio mestiere. Carson ha cominciato a chiamarmi San Tex.

Vado a prendermi una pinta di birra, con una bistecca alta due dita e una montagna di patatine fritte. Adios Amigos.

* Il testo è di Mauro Boselli, lo sceneggiatore del fumetto edito dalla Bonelli

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica