L'ossessione di Bersani: il Cav si deve dimettere Ormai lo chiede una volta ogni due giorni...

Il leader del Pd solo in estate ha chiesto insistentemente al premier di farsi da parte ben 40 volte in tre mesi, con una media di una volta ogni due giorni. Ma ormai non se lo fila più nessuno. E il suo ritornello diventa pure una gag GUARDA IL VIDEO

L'ossessione di Bersani: il Cav si deve dimettere 
Ormai lo chiede una volta ogni due giorni...

Allora qual è la nuova proposta del Pd? Bersani ha la faccia contrita, è titubante, una goccia di sudore gli si poggia sulla guancia, ma indomito trova il coraggio di dirlo ai microfoni, ancora una volta: “Berlusconi si deve dimettere”. Le sue parole hanno il peso delle scartoffie che gli lanciano i giornalisti che lo prendono in giro. La caricatura che la gag satirica di Sky fa del leader democratico rispecchia fedelmente il Bersani vero. Quello stesso leader che è riuscito a battere persino Di Pietro nella gara a chi è riuscito a chiedere più volte le dimissioni di Berlusconi.

E non sarà certo un caso se Sky ha preso in giro proprio lui, Bersani. Il disco rotto si è incantato da tempo. E persino i giornali a lui più fedeli si sono stufati di riportare ogni volta la solita solfa. Perché la notizia è che Bersani non fa più notizia. E già da tempo. Ma lui continua imperterrito. In un convegno di partito, ai microfoni dei telegiornali, in Parlamento, nei principali talk show politici, Bersani è sempre lì, indefesso, sempre pronto a chiedere le dimissioni del premier. Solo nell’ultima estate il leader del Pd lo ha fatto ben 40 volte. Repetita iuvant, ma per Bersani repetita nocet. Come le teorie di comunicazione insegnano, ripetere più volte lo stesso messaggio, alla fine non fa che privarlo del proprio contenuto originario, della reale importanza. Semplicemente si svuota. E non fa più notizia.

E per il segretario democrat è successo proprio questo. E pensare che Bersani aveva provato a cambiarle, le modalità di diffusione del messaggio. Aveva tentato di modificarne anche i termini. Ma nulla. Il via alle danze parte il 14 giugno scorso. Eravamo praticamente all'indomani dei quattro referendum su acqua, nucleare e legittimo impedimento e in un'intervista su Repubblica il leader del Pd disse: “Chiediamo le dimissioni del premier, ma vorrei chiarire che non le chiediamo dopo il referendum e il voto nelle città. Il referendum e le amministrative sono successivi a una richiesta che facciamo da un anno e mezzo”. Insomma, l'ossessione di Bersani, per sua stessa ammissione, partiva già da molto più lontano, ma noi, per evidenti problemi di spazio abbiamo deciso di registrare la pervicace ossessione bersaniana nel solo periodo estivo.

Il 29 giugno: "Non stanno più in piedi". L'8 luglio: “Tra il marasma nel governo e una manovra finanziaria che dà un colpo enorme al sociale, Berlusconi invece di rilasciare interviste sui suoi disegni futuri dovrebbe andarsene. Andare avanti così diventa pericoloso per il Paese”. Il 14 luglio: “Per noi la strada maestra sono le elezioni ma siamo pronti a considerare una fase di transizione per cambiare la legge elettorale”. Stesso concetto il giorno seguente. Tre giorni dopo, il 17 luglio, Bersani propone un governo a tecnico a guida Mario Monti. Il 19 luglio 2011 alla Direzione nazionale del Pd: “Questo quadro politico non è in grado di garantire una ripartenza. La strada maestra da percorrere resta quella di tornare al voto”. Di nuovo il 20 e il 22 luglio. Il 27: "Il governo deve andare a casa perché si apra una nuova fase". L'1 agosto: “Una vittoria sarebbe se Berlusconi andasse al Quirinale a rassegnare le dimissioni”.

Il 2 agosto: “Il Paese sente la paura e i mercati chiedono una svolta. Votiamo subito come in Spagna”. Il 3 agosto: “Serve subito una svolta per affrontare la crisi”. Il 4 agosto: “Discorso di Berlusconi disarmante, serve una svolta politica” Il 5 agosto è più diretto: “Berlusconi deve dimettersi”. E lo stesso l'11 agosto, persino il giorno dopo ferragosto il leader del Pd riesce a trovare la forza per chiedere le dimissioni del Cav. Lo fa ancora il 31 agosto. E il 2 settembre. E poi attenzione: dal 10 settembre Bersani praticamente non la smette più fino a oggi. Ogni giorno chiede al Cav di farsi da parte. Il 14 settembre: “Serve un gesto politico, con queste manovre non abbiamo risolto niente”. Il 19 settembre: “Il problema principale è staccare la spina al governo”.

L'indomani: “Via Berlusconi, l'Italia deve uscire dalla palude”. Il 21 settembre finisce l'estate, comincia l'autunno ma non cambia nulla: “Berlusconi consegni subito la pratica al presidente della Repubblica”. Il 25 settmebre: “Il Pd è pronto a sostenere un governo di emergenza e di transizione”. Il 26 settembre: “Il Pd per un governo di emergenza”. Per concludere (forse) ieri con: “Nessun diluvio dopo Berlusconi, Il diluvio è adesso. Il premier si schiodi”. Chapeau per l''insistenza e per la tenacia. Ma, dispiace per Bersani, a poco è servito.

E su questo il leader del Pd avrebbe forse da imparare dal suo omologo dell’Idv. Quell’Antonio Di Pietro che, pur avendo chiesto le dimissioni del premier in estate non più di 15 volte, quelle 15 volte si è fatto sentire eccome. Con termini duri, estremi, forti, che hanno però sortito l’effetto desiderato: fare notizia. Bersani invece è muto pure quando parla. Anzi, soprattutto quando parla. Bene inteso: chiedere le dimissioni del presidente del consiglio è diritto e dovere (se egli lo ritiene opportuno) del leader del maggior partito di opposizione.

Ma farlo come dice lui da più di un anno e mezzo, e dichiararlo pubblicamente per ben 40 volte in soli tre mesi è a dir poco estenuante. E agli occhi dell’opinione pubblica rischia di sembrare più un’ossessione personale che cela una mancanza di alternativa, una vacuità di intenti e di progetti. 40 volte in tre mesi. Praticamente una volta ogni due giorni.

Bersani è un leader d'opposizione a tempo perso. La morale della sinistra, in un momento come questo, dovebbe essere : fai quel che devi, accada quel che può. Ma Bersani non fa nulla. Cosa pretende che possa accadere?

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