«La lotta all’evasione è prima di tutto una scelta politica»

«La lotta all’evasione è prima di tutto una scelta politica»

«La proposta di Raggi è tecnicamente ineccepibile, in prospettiva comporta un cambiamento radicale del sistema di pagamento utilizzando strumenti più moderni». Ma? «Ma bisogna vedere quanto sia riproducibile nella realtà. Si devono fare i conti con la componente politica e culturale di questo Paese. La lotta all’evasione è una scelta politica prima che tecnica». Prima di rispondere alle domande, G.B. Pittaluga, ex assessore al Bilancio nella giunta Biasotti e poi in quella Burlando dopo aver preso i voti, professore di Scienze economiche e statistiche all’Università di Genova, si prende un paio di minuti. Mette giù alcuni punti fermi e poi comincia la sua analisi della proposta di Giovanni Raggi, assessore tecnico al Bilancio di Santa Margherita, commercialista e tesoriere del Pd, per combattere l’evasione fiscale. In sostanza, l’idea era quella di tracciare ogni pagamento, dal più piccolo al più oneroso, con il codice fiscale. Una sorta di controllo incrociato da parte di acquirente e commerciante che a parere di Raggi avrebbe aiutato l’Agenzia delle Entrate a individuare con più facilità i «furbetti» del Fisco. Non solo, in questo modo si sarebbe resa superflua anche la dichiarazione dei redditi.
Quindi il parere di Pittaluga. «Bisognerebbe imporre per legge un cambiamento del sistema di pagamento. Che significa cambiare le abitudini degli italiani e fare in modo che il contante diventi marginale». E la cosa non è così semplice, perché al Sud, ad esempio, le poste in conto corrente non sono molto diffuse e il conto corrente finanziario si è affermato con una certa lentezza. «Così come le carte di credito, molta gente diffida ancora dell’uso. L’utilizzo di strumenti innovativi fa fatica ad affermarsi in questo Paese». Poi c’è il problema dell’efficienza amministrativa, nel senso che una volta tracciati i pagamenti, bisogna anche qui avere fiducia che vengano trasferiti all’Agenzia delle Entrate e valutati nel modo corretto. Fino ad arrivare all’ostacolo forse più grosso. «Il costo della lotta all’evasione è spaventoso in termini di perdita di voti. E da un punto di vista culturale è altrettanto spaventoso perché il Paese non è così sensibile al tema dell’evasione. Non è considerato un crimine». Al contrario degli Stati Uniti dove rubare al Fisco è al pari di un tradimento allo Stato e viene valutato come uno dei peggiori delitti che si possano commettere. «In Italia combattere l’evasione vuol dire perdere il voto di chi la fa senza guadagnare quello degli altri».
Quindi? «Quindi bisogna fare una cosa più articolata: bisogna farsi innanzitutto una domanda sul numero delle partite Iva. Chi non sfugge all’imposizione fiscale? Il lavoratore dipendente. Ma chiediamoci allora se il loro numero è simile a quello della Francia o della Germania. In Italia è di gran lunga inferiore. Come mai la quota dei lavoratori dipendenti da noi è così bassa? E siamo sicuri che la distribuzione commerciale sia efficientissima?».
Ecco perché, per quanto tecnicamente ineccepibile la proposta di Raggi, è necessario agire anche sulla struttura produttiva rendendo il numero dei lavoratori dipendenti uguale a quello dell’Europa e dando incentivi a chi fa questo lavoro. «Il nostro Paese ha ritardi da un punto di vista culturale che sono notevoli. L’Italia non è in grado di cogliere il nesso fra spesa ed entrate. Se un edificio viene distrutto, ci vuole una spesa pubblica per rimetterlo in sesto e quindi devono aumentare le tasse. Ma nessuno lo capisce. In Svizzera invece sì: sanno che ogni distruzione comporta un aggravio delle imposte. Da noi c’è un’opacità morale...».

D’accordo però ora l’emergenza è far rientrare in qualche modo il sommerso. «È comico che dopo 50/60 anni ci si renda conta che esiste l’evasione fiscale. La situazione di emergenza? Dipende dall’euro e non dall’Italia. Ma questo glielo spiego un’altra volta».

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