La lotta di classe? Si gioca sulla spiaggia

Cercasi spiaggia dove poter giocare liberamente. E soprattutto senza dover mettere mano al portafoglio. Sono lontani i tempi in cui le distese di sabbia erano considerate il simbolo della libertà estiva. Si piazzava l’ombrellone nel punto preferito e si tirava fuori tutto l’armamentario ad hoc: le carte, il pallone, i racchettoni, le bocce e chi più ne aveva più ne metteva.
Chi ricorda le piste di sabbia per fare le corse con le biglie dei ciclisti? Altri tempi. E altri spazi. Gli arenili oggi sono sempre più «lottizzati» e invasi da file e file di ombrelloni. E poi c’è il puzzle dei divieti: vietato giocare col pallone, niente racchettoni, anche sulle spiagge libere, sempre più rare. C’è addirittura chi ha vietato i castelli di sabbia, vedi Eraclea (Venezia). E così che il gioco in spiaggia è diventato quasi una lotta di classe. Tra divieti, ordinanze, mancanza di spiagge libere e praticabili, l’unica soluzione è andare all’estero in luoghi più selvaggi e meno regolamentati, oppure pagare: negli stabilimenti migliori, e più costosi, ci sono aree delimitate e attrezzate per giocare a beach volley, beach tennis, racchettoni.
Non resta che rilassarsi? Certo, ma non con i massaggi praticati dagli ambulanti, anche quelli nel mirino di un’ordinanza (del ministero della Salute). Nei lidi top ci sono massaggiatori veri. E che dire poi dei racchettoni, moda che ha contagiato anche i vip? Proibiti anche quelli, in teoria, soprattutto sulla battigia. Ma, come testimonia Riccardo Borgo - presidente del Sindacato balneari italiani (Sib) - «è un’ordinanza difficile da far rispettare». È vero: trattasi di lotta di classe ma anche di civiltà. Perché quando tutto era permesso la pallonata o il colpo di racchettone calava spesso e volentieri a tradimento sul bagnante assopito, vibrato da scostumati maniaci del moto. Ma ora siamo all’eccesso opposto in molte località: vietato alzarsi dalla sdraio. Come a Manduria, nel Salento, dove ci sono più divieti che licenze. Infatti, grazie a un’ordinanza comunale, il sindaco ha detto no ai cani, di tutte le razze e anche se rigorosamente muniti di museruola, no ai giochi di squadra, no alle bocce (che è un po’ come sparare sulla Croce rossa, dal momento che è forse uno dei giochi più desueti), no alla musica a tutto volume, specie durante il sonnellino pomeridiano. Chi non rispetta le regole viene punito con multe che vanno dai 25 ai 250 euro. Insomma per la classe operaia in spiaggia non c’è paradiso. Tutt’altra vita invece per la middle class che può pagare salate quote e permettersi così di giocare all’interno dei lidi, anche se solo negli spazi appositi.
Tra i giochi sedentari c’è il burraco, che dopo i salotti ha invaso gli arenili. Per i più atletici invece è in voga il beach tennis. E poi le corse con i sacchi o i tornei dei castelli di sabbia. Per la upper class più sofisticata c’è poi sempre la risorsa degli sport a vela, che allontanano dalla plebe sul bagnasciuga, vedi windsurf e kitesurf. Strutture al top come il Forte Village in Sardegna offrono ogni genere di intrattenimento a questa categoria di bagnanti. Tra i quali si distingue un’ulteriore ristretta élite, il bagnante che conta davvero, quello che non deve chiedere mai.

E che stando a quel che ci raccontano dal più celebrato dei lidi, il Twiga di Forte dei marmi, davvero non chiede mai: «Solo relax: dormire, mangiare e bere - dicono alla reception- al massimo un massaggio o un trattamento benessere». Noblesse oblige.

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