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La lotta dell’islam contro il terrorismo

Quasi all’improvviso si sono incontrati alla Mecca, in casa del “Protettore dei due territori sacri (ovvero la Mecca e Medina )” - come preferisce essere chiamato il re dell'Arabia Saudita - il presidente Mubarak e il re di Giordania per un summit straordinario, dedicando questo incontro quasi totalmente al terrorismo.
Dopo l’«inutile rito» della solidarietà ai palestinesi, gli argomenti affrontati sono stati tre: il consolidamento e rafforzamento del governo irakeno; l’apertura di una controffensiva «contro l’islamofobia», oggi a livello mondiale; il terrorismo.
Sulla decisione di muovere le prime pedine contro l’odierna repulsione per l’islam, un termine che ovunque suona negativamente, l’impostazione pare buona. L’idea base è quella di separare la «civiltà islamica» nel suo complesso dalla religione in quanto tale. È vero che l’islam come religione è all’origine di questa grande costruzione ma, tutto sommato, nel grande gioco della storia, ne rappresenta solo una parte. L’islam è un fenomeno molto ma molto più vasto ed è per questo che nei suoi confronti ci si comporta in genere come dei marziani che studiassero la civiltà cristiana attuale basandosi sugli scritti di San Tommaso.
Questi sovrani, da buoni animali politici, non solo si sono accorti, ma hanno avuto il coraggio di dichiararlo, che il mondo islamico sta andando verso una delle fasi più fruttifere di danni non solo per la sua immagine ma perfino per la sua esistenza.
Davanti agli occhi c’è una realtà: ogni imam e ogni facchino musulmano - non parliamo dei neoconvertiti - apre l’impatto con un non musulmano, vantando d’acchito la superiorità dell’islam. Questi capi di Stato hanno convenuto che, al contrario, pare opportuno cambiare atteggiamento intavolando un colloquio con gli occidentali. Superiorità e inferiorità del periodo legato al colonialismo appartengono al passato: si può ben parlare da pari a pari. Questo vuol dire aprire dei colloqui illustrando come l’Occidente sia debitore verso l’islam di un patrimonio culturale e in parte tecnologico - per fare un solo esempio la fabbricazione della carta -, una donazione che ha reso possibile il Rinascimento così come l’islam è debitore verso l’Occidente della odierna tecnologia.
Anche se fossero fatte tutte solo di buone intenzioni, ma non lo credo perché alcuni segnali che le cose stanno cambiando esistono, queste dichiarazioni sarebbero di per se stesse una vera e propria mutazione andando a minare alla base lo Scontro delle civiltà nel quale «sguazzano» da un lato Bin Laden e compagni e dall’altro tanti tra coloro che scrivono in materia.
Il punto chiave è restaurare un’immagine «normale» dell’Islam aggiungendo «colpita da estremisti e terroristi». Il re Abdallah d'Arabia si è particolarmente diffuso sul fatto che il mondo islamico non si potrà mai realizzare attraverso spargimento di sangue e il fanatismo non potrà mai emergere in una civiltà che necessita di purità e non di fanatismo.
Una visione, questa, nella quale il terrorismo appare come una forma di malattia entrata nell’Islam dall’esterno nei tempi moderni con tutte le caratteristiche e i successi dell’epidemia.
Non si può dar torto a questa impostazione. Il terrorismo non è una caratteristica dell’islam. Conoscendone la storia si trovano serie difficoltà a individuare nei suoi mille e cinquecento anni operazioni di stragismo con il coinvolgimento dei civili. Assassinii politici tanti, e sin dall’inizio, ma regolarmente «mirati». Basti ricordare i primi tre califfi e il generale Kléber appena sostituì Napoleone in Egitto.
Dall’altra parte del mondo l’ultima strage nello Sri Lanka: in un autobus più di sessanta morti, in maggior parte donne e bambini. Non è certo di matrice islamica. Inoltre, nella storia dell’islam mancano totalmente il «far fuoco sulla folla» come nel 1905 davanti al Palazzo d’inverno o i carri armati nel giorno di Tienanmen .


Rimane un’osservazione: questo «colloquio» dovrebbe cominciare prima di tutto in «terra d’islam», almeno nei sistemi educativi pubblici, facendo sì che la nuova generazione che verrà in Occidente, composta dai soliti imam autonominatisi e da sprovveduti lavoratori, abbia almeno sentito sui banchi di scuola idee come queste.

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