Sembra di vivere in mezzo al rito orfico dionisiaco
dello smembramento della cerva inseguita,
solo che al posto della cerva c’è invece il cinghialone,
quel che resta della sua memoria, la memoria
di Bettino. Dirò subito che non mi metterò qui a
fare la solita scena dell’«io lo conoscevo bene», che combacia
alla pletora dei nani e delle ballerine che durante
gli anni Ottanta farfugliavano degli indecenti, perché
falsi, «mi ha detto ieri Bettino». Bettino Craxi era un
omaccione gentile, non esente da turbe un po’ paranoiche,
era un uomo di sinistra ed aveva sullo stomaco i
comunisti, ma covando l’impreciso e in definitiva letale
sogno di redimerli, trasformarli in creature normali e
occidentali, de-russificarli mandando in soffitta l’attrezzeria
delle falci e dei martelli. Pagò con la vita
la sua presunzione: Craxi era poverissimo,
la sua casa in Tunisia era
scomoda e cementizia (una vecchia
masseria comperata ai tempi in cui
si faceva la fame) e lo fecero passare
alla storia come un mascalzone, un
farabutto che incamerava miliardi
con l’idrovora e li nascondeva per
farci non si sa che cosa.
Ma oggi, come fa sempre il partito
comunista vent’anni o più dopo
l’omicidio (o il genocidio ungherese),
la dirigenza della indistruttibile
ditta scopre che si può ancora incassare
qualcosa dalle ossa di Bettino,
chiamandolo statista e blaterando
che «quel che c’è di buono di Craxi,
adesso è con noi». Naturalmente
non è così, naturalmente al massimo
questa gente ha Bobo Craxi che
fa finta di avere i tic del padre e di
dire quelle battute alla gianburrasca
che solo Bettino si poteva permettere
perché erano già fuori moda
allora.
Ma quel che oggi fa impressione è
la lottizzazione del morto, che è morto
in Tunisia e sta sotto le palme e
vicino ai cammelli, anziché fra noi.
Non voglio neanche entrare nella
questione dell’omicidio di Bettino
Craxi, il quale fu veramente ammazzato
Nel momento in cui non lo si volle far operare in un ospedale tecnologico
italiano. Lasciamo anche perdere
la questione
dei traditori, degli
accoltellatori
di Cesare e delle
loro orazioni sul
cadavere, anche
perché Bettino
non era affatto Cesare,
benché ci
sia stato più d’un
Bruto. E lasciamo
stare infine
quel che accadde
nel famoso camper,
quando l’illuso
Bettino si chiamò i due dioscuri,
Veltroni e D’Alema,
e discusse
con loro del dossier Mitrokhin, o comunque
lo si chiamasse allora. Quel
che accadde fu narrato più tardi da
un grande socialista erede di Craxi,
Gianni De Michelis, prima che Stefania Craxi decidesse
Di raccogliere tutta
l’eredità del padre, la memoria
del padre e rimetterla in campo nella sua forma autentica.
Ma DeMichelis
raccontò che quell’illuso bestiolone
che fu Craxi immaginò di poter
stracciare davanti ai dioscuri comunisti
la memoria del passato, la memoria del Kgb,
dei piccoli gulag casalinghi,
dei comunisti addestrati alla
clandestinità quando qui non c’era
motivo per essere clandestini. E insomma
fu lui, il visionario patriota
che aveva Garibaldi nella testa, a
pensare di poter imporre con le sue
manone un lavacro battesimale ai comunisti,
tagliar loro artigli e coda, vestirli
in maniera acconcia e portarli
nel salotto buono della politica.
Loro, per ringraziamento, incassarono
l’ingresso nell’internazionale
socialista come fa il cuculo quando
mette le sue uova in casa altrui, e lo
ammazzarono. Semplicemente, lo
ammazzarono. Poiché di questi tempi
stanno cercando di ammazzare
anche me, se non facendomi la pelle
letteralmente, almeno cercando di
infangare la mia persona, il mio nome,
lamia immagine e la mia dignità,
so benissimo come funziona la
premiata ditta, con il codazzo della
sua gestapo rossa travestita da giornalismo.
Ricordo ancora Di Pietro impietrito
davanti a Bettino a Milano, lui con
la toga e Craxi con la sua fierezza:
Antonio fu deferente come un bravo
poliziotto di fronte a sua eccellenza,
e ricordo con quanto disprezzo Scalfari
trattò sul suo giornale l’accusatore che
aveva dato segni di cedimento
umano. Ma la ragione vera per cui
Craxi doveva morire, essere spazzato
via, distrutto, calpestato, fu il fatto
degli euromissili che lui, Spadolini e
Cossiga insieme alla Germania vollero
opporre all’aggressione degli
SS20piazzati contro di noi come primo
atto di ostilità militare in vista di
quella guerra di aggressione che proprio
grazie agli euromissili e poi lo
scudo spaziale di Reagan non poté
essere lanciata dalla pregiata ditta e
da tutte le sue propaggini.
Adesso stanno mangiando le sue
carni, la sua storia, stanno cocendo
in indecenti salse unioniste la sua
identità e banchettano, ruttano, bevono
in maniera indecente per appropriarsi
del marchio craxiano, il
marchio del socialismo europeo e
non russo, della
rivoluzione dei
costumi e non
dei soviet, il tipo
di socialismo che
servì i lavoratori
abolendo la scala
mobile e liberando
per la prima
volta il mondo
del lavoro dal
controllo staliniano
dei sindacati.
Adesso fanno finta
di dimenticare
che fu lui a far
sgrugnare il Pci
di Berlinguer sul
referendum con
cui la maggioranza
schiacciante
degli italiani per la prima volta disse
di no.
Le cronache politiche quotidiane
illustrano questa indecenza finale:
l’appropriazione indebita di Craxi,
la sua macellazione post mortem, il
furto con destrezza delle sue idee e
anche dei suoi errori. Oggi ricordiamo
la morte di Craxi, la morte di un
patriota che sognava di liberare tutto
il mondo dalle dittature in preda a
un utopismo messianico che gli fece
vedere più d’una volta lucciole per
lanterne, ma che più di ogni altra
cosa sognava di restituire alla sinistra
una dignità occidentale, nazionale,
laburista, nostrana, legata alla
tradizione quasi indigeribile del socialismo
italiano, eternamente diviso
fra pazzi sanguinari e gente che
vorrebbe delle forti riforme. Oggi
vince nella sinistra italiana un mix
di furbizia, marketing, bugia e incapacità
di fare le riforme.
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