La «Lucia» di mercoledì sera ha rialzato un po' le sorti del Carlo Felice, dopo quell'esordio piuttosto annebbiato che ci aveva riservato Nabucco non più tardi di un mese fa. Pubblico entusiasta, con tanti «meglio dell'altra volta» che serpeggiavano qua e là e nutriti applausi a sipario chiuso. Compresi quelli calorosissimi che hanno salutato l'ottimo direttore del coro Ciro Visco, che lascia il nostro teatro per Santa Cecilia dopo anni di intenso e redditizio lavoro genovese, come del resto abbiamo sentito una volta di più. Insomma, la platea questa volta ha sciolto la tensione e si è lasciata andare, soddisfatta.
E davvero lo spettacolo c'è stato, non certo di quelli che rapiscono e ti tengono prigioniero in un vortice di emozioni, ma dignitoso, corretto e godibile. Forse qualcosa di più ci aspettavamo da Daniel Oren, che «Lucia di Lammermoor» ha nell'intimo, ma che ha fatto alcune scelte discutibili, sia nello stacco eccessivamente veloce di alcuni tempi sia di tipo musicale; affiancato naturalmente da momenti splendidi, trascinanti, che ha donato con tutta l'enfasi che di lui conosciamo.
Si diceva del trasporto emotivo: ciò che è mancato agli interpreti è proprio quella personalità prorompente che costruisce i grandi drammi umani, quell'enfasi che deborda nel tipico melodramma nostrano e che in fondo è la sua anima, e quell'interazione esasperata tra i personaggi che sconfina sempre nell'eccesso «romantico» dei sentimenti, fino a strapparti le lacrime. Quell'impasto insomma così retorico e affascinante tipicamente «lirico» e che le scene (William Orlandi), molto belle e suggestive ma estremamente sobrie, non hanno certo aiutato a venir fuori.
Ma è anche vero che un cast così giovane ha dalla sua tante scene ancora da calcare e tanta esperienza da maturare. Tutti tecnicamente bravi, con voci non particolarmente potenti, ma usate con intelligenza e abilità. Jessica Pratt è comunque grande protagonista. Musicale, elegante, molto espressiva nella scena pregnante della pazzia, che il regista Gilbert Deflo bene ha strutturato sottolineandone davvero il vaneggiamento e il delirio. Con quella macchia di sangue che si staglia su un fondo cromatico plumbeo, dominato dal nero e dal grigio di scene e costumi e che in maniera assai efficace sottolinea il clima asfissiante che avvolge tutta l'opera. Brava Ornella Vecchierelli (Alisa), bella voce, ha dato personalità ad un personaggio marginale.
Bene anche gli interpreti maschili, Giorgio Caoduro (Enrico) e Stefano Secco (Edgardo) entrambi poco squillanti ma espressivi; così anche per Roberto Tagliavini (Raimondo), Enzo Peroni (Arturo) e Francesco Piccoli (Normanno).
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