«Con lui, io e Mastroianni ci siamo divertiti molto»

Michele Anselmi

A Robert Altman piaceva l'Italia, non solo per la sua cucina. Provò anche a girarvi un film, all'inizio degli anni Novanta, quando in patria faticava a lavorare. Alla fine, però, dovette arrendersi. Poco edificante storia di politica e burocrazia. Avrebbe dovuto dirigere Rossini, Rossini, una biografia del compositore prodotta dalla Rai, da distribuire anche al cinema. Ma le pressioni furono tante, incluse le raccomandazioni dell'allora potente Arnaldo Forlani, capo dc e pesarese doc, che il regista, estenuato, mandò tutti a quel paese, lasciando l'incombenza al più duttile Mario Monicelli.
Non di meno, pur scottato dalla bizzarra esperienza, Altman continuò a intrattenere un caldo rapporto col Bel Paese. Nel 1993 il suo torrenziale America oggi vinse un Leone d'oro alla Mostra di Venezia, sia pure ex-aequo con Film blu di Kieslowski, e due anni dopo si divertì a ricambiare la cortesia chiamando sul set di Prêt-à-porter la coppia Sofia Loren & Marcello Mastroianni. Un omaggio al cinema italiano, a pensarci bene: giacché Altman li volle spiritosamente insieme per rifare, in forma di affettuosa parodia, la scena dello spogliarello di Ieri, oggi, domani. «Ci siamo divertiti molto. Era facile lavorare con lui. Metteva macchine da presa dappertutto, e non si vedevano mai, sicché sembrava di stare nella vita di tutti i giorni», ha rievocato ieri l'attrice italiana, sulle prime restia a esibirsi in quello strip-tease. «Invece fu uno spasso. Marcello ricominciò pure a ululare come nel film di De Sica: solo che nell'originale era pronto a fare l'amore, mentre stavolta crollava sul letto e s'addormentava».
Una presa in giro del maschio italiano, dunque, ma con bonomia. Non diversamente, quasi vent'anni prima, nel 1978, Altman aveva ingaggiato Vittorio Gassman e Gigi Proietti per due gustose particine nel corale Un matrimonio. Ricordate? Gassman interpretava il fratello del padre dello sposo, Proietti lo zio giovane venuto da Roma. «Sono davvero colpito dalla morte di Altman. Amo il suo cinema, in più era una persona adorabile», sussurra l'attore al telefono. «Il nostro incontro fu curioso. Nel 1977, di passaggio in Italia, volle seguire un turno di doppiaggio di Tre donne. Era maniacale sui temi del sonoro, forse temeva che le voci italiane snaturassero l'impasto. Chiacchierando - io facevo il direttore del doppiaggio - azzardai: “Mi sembra un film sognato”. Lui annuì. Era proprio così». E poi? «Qualche mese dopo mi offrì quel ruolo. Restai un mese in America, cercando di migliorare il mio inglese. Invece, al momento di girare, volle che io e Vittorio recitassimo in italiano: una scena totalmente improvvisata. Non volle nemmeno sapere che cosa dicevamo».
L'episodio è rievocato pari pari dal «Mattatore» nel libro autobiografico Un grande avvenire dietro le spalle. Gassman dedica un'amabile pagina al suo rapporto con Altman, che proseguì l'anno dopo, 1979, con Quintet. Tonfo commerciale come pochi, avendo in cartellone una star del calibro di Paul Newman. Leggiamo: «L'ultimo giorno di riprese si svolse in una vallata coperta di ghiaccio, nei pressi del circolo polare artico, cinquanta gradi sotto zero. La troupe era stremata. Bob chiamò Newman e me, fece un gran gesto circolare: “La valle è vostra, io ne ho abbastanza, metto una cinepresa qui, una lì, una là in fondo, datevi la caccia come vi pare e fatevi fuori, l'unica cosa richiesta è che il superstite sia Paul e che Vittorio muoia in un crepaccio”».
«Sic dixit, sic fuit», annota Gassman.

Per lui Altman era «un genio irregolare, capace e voglioso di scommesse arrischiate: l'America non lo ama, gliene vuole per la sua indipendenza, per le sue interviste a brutto muso, per un tipo di follia che, pur avendo radici nell'etnos americano, mutua ironia e humour nero dalla cultura europea, facendo di lui un artista meticcio». Meglio non si poteva dire.

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