Como - «Non lo voglio vedere». Rosa Bazzi, pallida e nervosa, sposta la sedia dei testimoni e dà le spalle al pm Massimo Astori, il magistrato che è riuscito a far confessare a lei e al marito la strage di Erba. Il magistrato fa una smorfia, Rosa ha gli occhi bassi. «Non è facile essere qui, dopo tutto quello che ho subìto prima e dopo grazie a una persona che ci ha sconvolto» sibila la donna con voce tremante e monocorde, poi abbassa il capo e fa una pausa. Una delle tante, in una manciata di minuti che in aula sembravano infiniti. «Ai carabinieri abbiamo sempre detto che non eravamo stati noi, ma loro insistevano...», attacca singhiozzando, «sin dal primo giorno. Abbiamo provato a spiegarlo ai carabinieri, ma non ci hanno mai ascoltati».
«Noi non siamo criminali», ribadisce Rosa, «non provavamo così tanto odio contro i Castagna per far loro del male». Anzi, ammette quasi candidamente, «abbiamo sempre cercato di aiutare Raffaella». Ma il suo pensiero, il suo chiodo fisso è Olindo, che da dietro le sbarre la ascolta. «Grazie all’aiuto di quelli del carcere è uscito dall’incubo, io non ci sono ancora riuscita».
Che ci giudichiate colpevoli o innocenti, sembra concludere Rosa, non importa. «Chiedo solo di non separarci l’uno dall’altro». Il tentativo di scagionare lei e il marito è tutto in una frase a effetto «non siamo stati noi, è stata tutt’altra persona», che però non ha seguito. E quando si tratta di spiegare i perché di quelle confessioni, Rosa si schernisce. «Serve a ben poco dirlo adesso, dopo le dichiarazioni che ci hanno fatto dare, le foto che ci hanno fatto vedere i carabinieri quando ci hanno portato in carcere e ancora quando ci hanno interrogati».
Se così fosse, si spiegherebbe perché quelle confessioni del 10 gennaio - fatte sentire in aula insieme ad alcuni dialoghi intercettati in carcere, in parte già pubblicate dal Giornale - siano così dettagliate ma lacunose su alcuni aspetti. Come la morte di Valeria Cherubini (secondo i Ris uccisa nel suo appartamento, dove nessuno dei due ammetterà di essere mai salito), il blackout nell’appartamento di Raffaella Castagna provocato alle 17.
40 (che nessuno dei due si attribuisce con certezza) e l’accelerante usato per appiccare l’incendio, di cui ha parlato in aula il perito della Procura Massimo Bardazza e che nessuno dei due dice di aver mai usato. Incongruenze sulle quali la difesa punta per provare a smontare la ricostruzione dell’accusa. Forse già nella prossima udienza di lunedì prossimo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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