L'ultima della sinistra? La tassa "ad personam"

Dopo la patrimoniale del Pd, ecco la proposta della Cgil: un'imposta dell'1% sulle ricchezze superiori a 800mila euro. E fa l'esempio di Berlusconi e Ferrero

L'ultima della sinistra? La tassa "ad personam"

Roma - È molto più di un rifles­so condizionato, è qualcosa di innato. L’insana passione del­la sinistra per le tasse è qualco­sa di inscritto nel codice gene­tico di questa parte politica. Non è bastata la riproposizio­ne della patrimoniale in sva­riate versioni il mese scorso: dalla tassa dello 0,1% annuo sui 9mila miliardi di ricchezza degli italiani fino al contributo da 30mila euro per gli italiani più ricchi (copyright Giuliano Amato) passando per un’im­p­osta sulle plusvalenze immo­biliari oscillante tra il 5 e il 20 per cento. Tutto con la benedi­zione di Uòlter Veltroni.

Anche la Cgil è salita sul car­ro dei «tassatori scortesi» e in vista dello sciopero generale del 6 maggio ha elaborato una proposta monstre: un’impo­sta sui grandi patrimoni del­l’ 1% per le famiglie con ric­chezza netta ( la somma del va­lore di beni mobili e immobili al netto delle passività come mutui e finanziamenti) supe­riore a 800mila euro.

Lo scopo sembrerebbe nobi­le, celato com’è sotto il titolo di «redistribuzione» e cioè fa­re come Robin Hood toglien­do ai ricchi per dare ai poveri. Ma sempre di un aggravio di imposte si tratta. Anche se nel­la­simulazione elaborata il sin­dacato di Susanna Camusso cerca di indorare la pillola. La tassa non si rivolge a dipen­denti e pensionati che hanno due case di proprietà (magari con un mutuo) e un portafo­glio titoli di 100mila euro. Piut­tosto è diretta a «imprenditori e liberi professionisti» che - a prescindere dall’imponibile Irpef - ha due case del valore complessivo di 800mila euro e 100mila euro di titoli. Costoro dovrebbero pagare circa mille euro giacché la soglia di esen­zione è rappresentata da quo­ta 800mila. Il discorso è sem­pre lo stesso: poiché imprendi­tori e liberi professionisti sono «evasori per natura» si cerca di stangarli per vie traverse.

L’antipatia per questa clas­se sociale è tale che si citano due esempi a caso della classi­fica italiana di Forbes: il signor F (che sta per Pietro Ferrero e famiglia, primo della lista) e il signor B (Silvio Berlusconi al terzo posto). I loro patrimoni, rispettivamente di 11 e 9 mi­liardi, produrrebbero un getti­to di 100 milioni da Mister Nu­tella e di 80 milioni dal Cav. L’obiettivo è chiaro: colpendo gli ultraricchi si potrebbero ot­tenere circa 18 miliardi di eu­ro all’anno (9,8 miliardi nel­l’ipotesi di un’aliquota ridotta allo 0,55%). Secondo Camus­so & C., liberando le risorse concentrate tra i più facoltosi si può generare ricchezza «spezzando l’alleanza tra pro­fitti e rendite» che danneggia lavoro e investimenti.

Confutare queste tesi neo­marxiste è molto semplice. E non è necessario nemmeno ri­correre al dogma liberista per il quale solo il capitalista può mettere in moto l’economia sia per la maggiore propensio­ne al consumo sia per la natu­rale abitudine all’investimen­to, mentre i meno abbienti ten­dono a «bloccare» le risorse mettendole da parte per i tem­pi di magra. Per sconfessare la Cgil bastano i numeri e la logi­ca. I numeri dicono che 18 mi­­liardi sono l’1% del nostro de­bito pubblico e dunque la tas­sa è insufficiente ad assicura­re quella riduzione necessaria alle politiche per lo sviluppo.

La logica invece dice che 100 milioni sottratti al signor Fer­rero sono 100 milioni in meno da reimpiegare nella crescita dell’azienda.In tal caso avreb­be tutte le ragioni per spostare la «baracca» dal Cuneese a un luogo fiscalmente più vantag­gioso, magari varcando le Alpi in direzione Svizzera.

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