L'umanesimo è un'arte che si fa politica quotidiana

La lezione di Rob Riemen: porre al centro la responsabilità e la dignità del singolo

L'umanesimo è un'arte che si fa politica quotidiana

Il libro è sul tavolo, circondato da briciole di biscotti e un telecomando muto. Una copertina blu come una sera olandese, un taglio verticale che sembra un meridiano, e un titolo che è una provocazione gentile: L'arte di diventare umani (Mondadori). L'arte, non la scienza. Già qui c'è un rovesciamento: non si tratta di addestrare, ma di formare; non serve un manuale, serve un cammino. Rob Riemen parla piano, come uno che sa che il frastuono è l'alibi della nostra epoca. Quattro lezioni come quattro campane in controluce. Suonano alla stessa ora, ogni giorno, finché non decidi di ascoltare.

L'incipit è un richiamo antico: la dignità. Parola che abbiamo lasciato ingiallire tra i documenti, mentre correvamo dietro ai risultati. La dignità non ha urgenza apparente, non manda notifiche, non promette bonus. È quel resto che rimane quando tutto il resto crolla. C'è un sonetto di Francisco de Quevedo che racconta questa fuga dal mondo. "Mi ritiro in pace tra i deserti, in compagnia di pochi libri dotti, vivo in conversazione coi defunti e sto a sentire coi miei occhi i morti".

La nobiltà d'animo è un termometro scomodo, perché misura il coraggio nei giorni qualunque: resistere al risentimento, alla volgarità come lingua franca, alla scorciatoia del successo senza valore. La nobiltà non è posa, è manutenzione quotidiana: leggere qualcosa che non serve a nulla, ascoltare una canzone senza postarla e rischiare un'opinione impopolare per difendere ciò che sai essere giusto. Riemen non chiede eroi, chiede responsabilità, quella di chi ci mette la faccia e il nome, di chi vive per chi ancora non c'è o non c'è più. È l'uomo che fa il conto con le masse. La cultura, quando abdica, lascia spazio alle caricature del pensiero. Così la politica diventa sceneggiatura, il dibattito una rissa, le parole pietre scagliate senza conseguenze, perché il pubblico cambia canale prima che il sangue asciughi. Riemen mostra come l'odio sia un disegno semplice: promette identità a costo zero, trova colpevoli utili, trasforma le frustrazioni in bandiere. È il secolo dell'ira che chiede sempre nuovi spettacoli. La risposta alle masse è la Bildung, la formazione interiore. È fatta di libri non obbedienti, di musica che smuove le ossa, di conversazioni lente. E di luoghi: biblioteche con il loro odore di carta e polvere, piazze dove il tempo non è un agguato, stanze in cui si può sbagliare senza finire sulla gogna. Sembra poco, ma è sovversivo, perché educa all'asimmetria: all'idea che c'è ciò che non si compra, che merita riverenza. L'umanesimo come atto politico, ma nel modo più strano: praticato ogni giorno, senza bandiere.

Riemen parla di amicizia intellettuale come fondazione di una città invisibile. Parla di maestri non come idoli, ma come traghettatori. La cultura non è un trofeo di caccia: è una responsabilità. Il saggio ti pianta davanti uno specchio senza cornice. Chiede: che cosa stai diventando mentre lavori, commenti, corri, reagisci? Quanta parte di te è soltanto risposta agli stimoli e quanta è iniziativa, creazione, gratuità? Diventare umani è imparare la sproporzione, quella distanza tra ciò che desideri e ciò che puoi, tra ciò che sei e ciò che dovresti essere. Non è un fallimento: è la misura che ti salva dall'idolatria del risultato. Forse la vera crescita è accettare di rimanere incompiuti. C'è una pagina che si attacca addosso più delle altre: l'idea che la civiltà sia fragile come un bicchiere sottile. La puoi spezzare con un gesto scomposto. Non serve il barbaro alle porte: basta il cinismo di casa.

Richiudi la copertina blu e torni a quel tavolo scomposto. Fuori passa uno scooter, una voce chiede un favore, il telefono vibra. Non succede niente e succede tutto. L'arte di diventare umani non ti consegna una soluzione, ti consegna un compito. Tenere accesa una piccola fiamma mentre il vento cambia. Difendere l'inutile prezioso. Dare ospitalità al vero quando bussa senza biglietto da visita. Non c'è una prova di esame, c'è il giorno dopo. Forse la lezione più semplice è questa: non delegare l'anima. Non alla tecnica, non alla politica, non alle mode mascherate. Coltivarla come si fa con un orto: zappa, semi, attesa, acqua, sole, pazienza.

Ci sarà grandine, eppure qualcosa fiorirà. L'umanesimo è scandaloso perché non promette dominio: promette fioritura. E la fioritura, in un tempo di acciaio e vetro, sembra una favola. Non lo è. È lavoro. È arte. È la più sobria delle rivoluzioni.

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