Milano - A leggere le carte della magistratura su Pietro Lunardi è rimasto di sasso. E per spiegare il proprio stupore parte dai dettagli: «Sarebbe bastato poco. Una verifica».
Per scoprire che cosa, avvocato Pecorella?
«È incredibile, ma si scrive che Angelo Balducci, il burocrate al centro delle indagini sulla cricca, era il capo di gabinetto di Lunardi al ministero dei Trasporti».
Falso?
«Falso. Non sarebbe stato difficile controllare almeno quel dettagli. Eppure non è l’unico scivolone di questa inchiesta, sbandierata da tutti i giornali e le tv». Una vicenda che ha fatto il giro del mondo perché Lunardi è accusato di corruzione in coppia, addirittura, con il cardinal Crescenzio Sepe, all’epoca dei fatti potente presidente di Propaganda Fide e oggi arcivescovo di Napoli. Secondo i Pm di Perugia, Propaganda Fide avrebbe svenduto ad un prezzo bassissimo proprio a Lunardi un immobile situato nel centro di Roma. In cambio, il Ministro avrebbe elargito un finanziamento non dovuto per restaurare un palazzo di Propaganda Fide.
Avvocato Pecorella, quale sarebbe lo scivolone numero due?
«Lo stesso errore, si ripete per Achille Toro».
Che cosa scrivono i magistrati a proposito di Toro?
«Ci informano che anche lui era capo di gabinetto di Lunardi».
Falso pure questo?
«Falso pure questo». E allora Gaetano Pecorella, deputato del Pdl, ma soprattutto principe del foro e difensore dell’ex ministro Pietro Lunardi, va all’attacco: «Questa indagine non sta in piedi. Mancano i presupposti e fanno acqua pure i particolari, i dettagli. È tutto un susseguirsi di errori, omissioni incomprensibili e ragionamenti che zoppicano». In questo momento le carte sono state rispedite al Tribunale dei ministri di Perugia, per un’integrazione, ma presto torneranno alla Camera. E Montecitorio dovrà dire un sì o un no alla richiesta dei giudici.
Scusi, avvocato: perché la Camera dovrebbe negare l’autorizzazione a procedere?
«Le ho indicato un paio di particolari sconcertanti, ma anche il nocciolo del capo d’imputazione non convince. Tanto per cominciare, questa storia nasce dai verbali dell’architetto Angelo Zampolini».
E questo, se permette, è normale. Zampolini ha riempito pagine e pagine.
«Sì, ma in una riga, proprio alla fine della sua deposizione, l’architetto, sollecitato dai Pm, dice: l’appartamento di via dei Prefetti, quello comprato da Lunardi, valeva 7 o 8 milioni di euro».
Lunardi paga 3 milioni quel che ne vale 8. Ovvio che i magistrati sospettino: la differenza, quei 5 milioni, in sostanza sarebbe una tangente.
«Appunto. Non ci siamo. La casa non valeva 7, 8 o 9 milioni di euro. Il palazzo era stato lesionato dai lavori della metropolitana, era occupato dai vecchi inquilini che non se ne volevano andare, aveva bisogno di una robusta ristrutturazione. Propaganda Fide aveva fatto i suoi calcoli e aveva capito che non le conveniva tenersi sulle spalle l’immobile».
Dunque, non aveva particolari pretese?
«Propaganda Fide era pronta a chiudere rapidamente la trattativa senza tirare troppo sul prezzo».
Da 8 a 3 milioni, non è davvero troppo?
«No, la valutazione di Zampolini non ha riscontro nella realtà. La banca che concede il mutuo a Lunardi valuta quel palazzo 4 milioni. E i due esperti, da noi nominati, non hanno superato i 4,5 milioni».
La Procura?
«La Procura non ha svolto una sua perizia. Anche questo non sarebbe stato particolarmente difficile. E la Procura non è andata nemmeno a chiedere spiegazioni al cardinal Sepe».
Per forza, anche Sepe è indagato.
«Per un caso di corruzione a priori».
A priori?
«L’immobile viene ceduto a Lunardi nel 2004, nove mesi prima che inizi l’iter per restaurare il palazzo di piazza di Spagna. Davvero ingenuo il potente cardinale di Propaganda Fide che fa un regalo prima, molto prima di ottenere quel che gli starebbe a cuore».
Però quei soldi, 2,5 milioni, arrivano nel 2005. E l’accordo prevede una seconda tranche dello stesso importo.
«Sì ma è il ministro dei Beni culturali Rocco Buttiglione a decidere l’intervento. Lunardi non è il motore di questa storia, ma dà solo il suo concerto. Il suo ok».
Nel capo d’imputazione si legge che i soldi arrivano «in difetto dei presupposti». Sarebbe la controprova dell’accordo corruttivo: i soldi in cambio di un museo che oggi, cinque anni dopo, ancora non c’è.
«Ma no. È l’Arcus a dover seguire la pratica. Io non so cosa sia successo in seguito, anche perché nel 2006 il Governo Berlusconi va casa, dopo la sconfitta elettorale».
E la Corte dei conti?
«Chiede conto di quella spesa all’Arcus, ma non cita nemmeno
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