Il suo nome spunta a cena, buttato lì prima del dolce, quando ormai tutti sono un po’ più rilassati.Berlusconi racconta il suo futuro a una ventina di giornalisti stranieri: «Se ci sarà bisogno di me come padre nobile sono disponibile». Ed è a questo punto che fa il nome di Angelino Alfano, il ministro della Giustizia, il ragazzo che un bel po’ di anni fa, nel 1999, si era presentato a Villa San Martino insieme a Miccichè. È lui il successore.
Alfano è cresciuto nell’agorà. I compagni del liceo classico Empedocle di Agrigento se lo ricordanocandidato alle elezioni per il consiglio d’istituto. Non ci sono statistiche, ma dicono che fu il più votato della storia. Raccontano che il Cavaliere un giorno gli chiese stupito: «Ma davvero lei è siciliano? La sento parlare in italiano». Alfano si limitò a confermare le sue origini. Era siciliano, con un padre democristiano, un laurea in legge, la capacità di rispondere con calma, senza perdere le staffe, preciso, puntiglioso, ai suoi avversari politici. Questo è uno dei motivi per cui piace a Berlusconi. Non è un istrione, ma si difende bene, non sfigura, non è facile da attaccare. Perfino uno come Gianni Barbacetto, antiberlusconiano doc del Fatto, non è riuscito a tirare fuori un ritratto malevolo. La difficoltà che la sinistra ha con Alfano è che non riesce ancora bene a catalogarlo. In quanto ministro della Giustizia di un governo berlusconiano è colpevole per definizione. Si diffida di lui. Resta però il sospetto che sia un berluscones atipico e questo li spiazza.
Quando si parla di Sicilia prima o poi spunta il discorso mafia. Anche in questo caso si sente il segno dei suoi quarantuno anni. «Io andavo alle elementari, dalle suore Ancelle Riparatrici, quando la mafia ha ucciso Mattarella. Ero alle medie quando hanno sparato a Dalla Chiesa e al ginnasio quando hanno ammazzato Chinnici. La mia generazione ha un vaccino culturale antimafia». Come scrive appunto Barbacetto: «L’età lo ha salvato dai coinvolgimenti con i vecchi ambienti politico-mafiosi. Alfano, nei primi anni ’90, partecipava semmai agli appassionati incontri con Leoluca Orlando, alle manifestazioni contro le stragi di mafia, alle veglie per ricordare Falcone e Borsellino».
Come molti della sua generazione non ama il rosso e il nero. Non sopporta che la politica si riduca in Italia solo e sempre a una guerra ideologica. È convinto che il problema sia cercare una strada per sfuggire alle nostalgie del Novecento. Non ama gli apocalittici e tutti quelli che da quando sono invecchiati pretendono che l’ultimo futuro che valga la pena di vivere sia loro. E per questo non ha mai nascosto che il suo ruolo politico sia quello di realizzare le riforme che padri e fratelli maggiori non hanno avuto il coraggio o l’interesse di fare. Il destino gli ha consegnato per prima quella della giustizia. Lui vorrebbe farla di grande respiro, anche a costo di scontentare amici e nemici. Non sa ancora se ha la forza per farla.
Il deputato radicale nel Pd Rita Bernardini ha raccontato questo episodio. Martedì ha chiesto al ministro di visitare i padiglioni del carcere di Messina chiamati «I 100 pini» e «La Sosta». Gli racconta la storia di un detenuto paralizzato che è costretto a trascinarsi «per terra in una latrina lurida per riuscire ad arrivare al water». Ma Alfano risponde a una telefonata. Insorge Furio Colombo: «Non ha ascoltato neanche un attimo l’intervento della collega Bernardini!». Ma il giorno dopo la stessa Bernardini rivela che il ministro aveva ascoltato e preso nota. Tanto da incaricare il sottosegretario Caliendo di verificare subito i casi denunciati e di intervenire per sanarli.
Le sue radici sono democristiane, ma è un’eredità a cui guarda con un certo disincanto. Non ha nostalgia della vecchia Dc, sa che è roba del passato, è abbastanza lucido da sapere che comunque fa parte del suo Dna. Non la rinnega, ma gli ha lasciato in dote l’arte della mediazione. È lui che ha provato a convincere Casini a tornare nella maggioranza e gli ha rubato pezzi di Udc quando ha capito che il genero di Caltagirone preferiva aspettare altre stagioni. Nel Pdl non è uomo di «correnti», e questo il Cavaliere lo ha apprezzato, soprattutto perché non è tra quelli che lo stressano con lamentele e rivendicazioni. È vicino al gruppo di «Liberamente», ma a differenza di Gelmini, Frattini, Carfagna e Prestigiacomo non ne ha mai preso la tessera. La sicilianità emerge nella sua amicizia con il presidente del Senato Schifani. La Prestigiacomo invece lo guarda con sospetto. Non sarà facile per lui navigare nel partito. Verdini ha subito ricordato che quella di Berlusconi era «una riflessione, uno stato d’animo dovuto all’essere sempre sotto pressione, ma non si tratta certo di una cosa vera».
Con questo uno dei tre coordinatori voleva rassicurare i sostenitori del Cav, che hanno inondato il partito di fax, email e telefonate. Ma è anche un modo per dire che la partita non è chiusa. Il successore è precario.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.