La lunga sfida Europa-Usa per la conquista dei cieli

Airbus cresce e contende il mercato ai colossi americani. Peccato che l'Italia ne sia fuori

La lunga sfida Europa-Usa per la conquista dei cieli

In questi giorni Airbus festeggia i suoi primi cinquant'anni in ottima salute. I numeri parlano chiaro: 800 aerei venduti nel 2018 per 63,7 miliardi di euro e 890 previsti per il 2019 più 460 miliardi di ordini già acquisiti e programmati. Cifre tonde che addolciranno ancor di più la super torta di compleanno prevista per la grande cena parigina del 17 giugno offerta a clienti e autorità dal presidente Guillaume Ferry. Auguri, quindi, al consorzio multinazionale che ha infranto l'egemonia statunitense nei cieli del mondo e tanti complimenti all'unica vera icona industriale europea. Insomma, una bella storia di successo che merita d'essere raccontata.

Tutto iniziò nella primavera del 1969 quando, dopo lunghe trattative, Charles de Gaulle e il cancelliere tedesco Kurt Kiesinger, erede non geniale ma molto pragmatico di Adenauer, si accordarono per la creazione di un comparto aeronautico continentale fortemente incentrato sull'asse franco-tedesco (con quote paritarie del 37,5 per cento) e un futuro coinvolgimento della Spagna (ancora franchista) e della Gran Bretagna ante Mec. Si trattava di un'inedita sfida politica, tecnica e commerciale alla primazia della potentissima industria aerospaziale americana. Alle chiamate di Parigi e Bonn, Madrid (con Casa, 5%) e Londra (con BAE, 20%) risposero positivamente mentre il governo italiano preferì nicchiare e defilarsi: Roma non aveva voglia e tanto meno coraggio per partecipare a un progetto così ambizioso ma molto malvisto da Washington. L'Alitalia rimase fedele cliente dei produttori d'oltreatlantico (McDonnel Douglas e Boeing). L'ennesima occasione perduta.

Airbus fu l'ultima geniale intuizione del vecchio generale: già ammaccato dalla tempesta del maggio '68, nella notte del 28 aprile '69, dopo l'esito negativo del referendum sulla riforma delle regioni e il tradimento dei suoi ministri, un De Gaulle sdegnato e offeso decise lasciare l'Eliseo. Per sempre. Toccò a Georges Pompidou, l'inviso successore, la gestione del progetto formalizzato il 29 maggio 1969, all'apertura del 28° Salone dell'aeronautica di Bourget, da Jean Chamant, ministro francese dei Trasporti, e dal tedesco Karl Schiller, ministro dell'Economia. In quella sede davanti a un pubblico quantomeno scettico, i due politici annunciarono la realizzazione in tempi brevi di un aereo di linea europeo di nuova concezione bimotore e a corridoio doppio - per 300 passeggeri. Sarà l'A300B che il 15 aprile 1974 s'involò per la prima volta con i colori di Air France.

Una svolta certamente significativa nella storia dell'aeronautica. Eppure al tempo pochi, pochissimi operatori prestarono attenzione all'accaduto e ancor meno s'interessarono al velivolo realizzato da un terzetto di grandi ingegneri: Henri Ziegler, Roger Béteillwe e Felix Kracht. Risultato: nel primo anno d'attività Airbus vendette solo quattro aerei mentre Boeing ne piazzava oltre 200. Non si trattò di disattenzione o di sfortuna ma del primo atto della spietata guerra commerciale che tutt'oggi perdura tra le due sponde dell'Atlantico. Gli americani, infatti, compresero subito la portata e l'ampiezza della proposta europea e decisero di stroncarla sul nascere. Con ogni mezzo. Dagli Stati Uniti partì una feroce campagna stampa contro il progetto ridicolizzandolo come velleitario e inutile. Un tam tam assordante che assieme alle pressioni della Casa Bianca sui governi alleati fece vacillare il consorzio. La svolta, imprevista quanto benefica, arrivò nel 1976 grazie all'astronauta Frank Bormann, un anticonformista molto coraggioso. Dopo aver esplorato il cosmo con l'Apollo 8, Bormann era passato all'aviazione civile diventando presidente di Eastern Airlines. Stufo dei ricatti dei colossi a stelle e strisce decise di rinnovare la linea di volo per il medio raggio con l'A300B. Un primo successo che permise nel 1978 il lancio del programma A310, un velivolo di 220 posti e, nel 1988, dell'A320 l'aereo che rivoluzionò il mondo aeronautico. Forte delle tecnologie e dei nuovi materiali sperimentati con il Concorde, l'A320 divenne il ferro di lancia di Airbus: 14mila ordini in trent'anni.

Agli inizi degli anni Novanta Airbus deteneva il 30% del mercato mondiale. Troppo per gli Usa di Bill Clinton. Nel 1993 William Perry, segretario di Stato alla Difesa, convocò i venti principali produttori nazionali per una riunione passata alla storia come «the last supper», l'ultima cena. Ai magnati del cielo Perry ordinò di unirsi e fare sistema. Due anni dopo restavano solo quattro giganti: Boeing, che acquisì nel 1995 McDonnell Douglas, Lockeed Martin, Northrop Grumman e Raytheon. Un fronte agguerritissimo che costrinse Airbus a rinventarsi aprendo ai privati (Jean Luc Lagardère di Matra e Jurgen Schrempp di DaimlerChrysler) e alla Borsa con una riduzione significativa delle quote statali (11% Francia e Germania, 4 Spagna).

Nel 1999 a Strasburgo, la città simbolo dell'asse franco-tedesco, nacque Eads, una costruzione politico finanziaria in cui gli azionisti pubblici e i due principali azionisti privati mantenevano diritti speciali. Un quadro singolare ma efficace. Raggiunta la stabilità interna Airbus ha potuto affrontare il segmento del lungo raggio con l'A330 e l'A340, sopportare le traversie del superjumbo A380, un gioiello tecnologico con molti problemi di mercato, e i troppi ritardi nella realizzazione dell'A400, il quadrimotore turboelica militare.

Riaggiustata la governance nel 2012 con un accordo tra Angela Merkel ed Emmanuel Macron dopo la mancata fusione con l'inglese Bae Systems, Airbus guarda con fiducia al futuro confidando sulle nuove versioni dell'A321 e l'A350 per i voli intercontinentali e sull'A220 (prodotto dalla canadese Bombardier recentemente acquisita) per le tratte medio-brevi. Ma, come sottolinea Faury, la vera sfida di questo compleanno è pensare e costruire l'aereo del futuro. Ibrido, decarbonizzato, ecologico. Europeo.

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