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M’Hamed Lekroune ci minaccia e nessuno muove un dito

Caro Granzotto, quello che dice M’Hamed Lekroune, presidente di «Italia Colorata», è assolutamente inaccettabile e i suoi correligionari musulmani dovrebbero essere i primi a tentare di farglielo capire. A meno che, segretamente, M’Hamed Lekroune sia un fan della Lega Nord e ne voglia far aumentare i voti: quanti avevano accettato, anche di malavoglia, una moschea a Genova dopo le sue minacciose affermazioni sono ancora della stessa opinione? Noi diciamo apertamente a M’Hamed Lekroune che non abbiamo alcuna paura delle sue minacce, che l’Italia è un Paese libero e che noi non obblighiamo nessuno a restare a casa nostra: se non gli piace come pensiamo, mangiamo, preghiamo o bestemmiamo o beviamo torni pure al suo Paese. E se non capisce che da noi c’è qualcuno che la moschea non la vuole, altri che la tollerano e altri ancora che sarebbero felici di averla, qualcuno gli spieghi, per favore, che cos’è la dialettica politica. Mi attendo che M’Hamed Lekroune chieda velocemente scusa alla città di Genova o se ne vada. Anzi, prima se ne vada e poi si scusi.
Genova

Veramente, caro Simonetti, dopo le dichiarazioni di questo fanatico presidente di «Italia Colorata» (movimento che si occupa dell’integrazione degli immigrati. Con un occhio al tritolo, evidentemente) mi sarei aspettato l’intervento della magistratura con conseguente immediata espulsione di Lekroune. Ma dico: vige o non vige l’obbligatorietà dell’azione penale? E è o non è un reato minacciare: o ci fate fare la moschea o ci facciamo e vi facciamo saltare in aria? Lekroune mica l’ha mandata a dire: «È difficile spiegare ai ragazzi, soprattutto ai più giovani, ai nuovi arrivati, perché non ci permettono di costruire la moschea. Questo clima di odio nei nostri confronti, questa guerra tra poveri generata dalla Lega, ci hanno portato a non riuscire più a controllare la rabbia dei ragazzi. Che è arrivata al massimo, tanto che potrebbero compiere gesti di ogni tipo, anche farsi saltare in aria». Ha un bel dire Hussein Salah, portavoce della comunità islamica di Genova, che Lekroune intendeva semplicemente segnalare un «profondo disagio» e non riferirsi a una minaccia seria: detto da chi abbraccia una fede che manda i kamikaze in paradiso, «saltare in aria» ha un solo significato. E poi, disagio per che cosa? La presenza o meno di una moschea non obbliga gli islamici alla affliggente rinuncia della preghiera, che possono praticare in qualsiasi luogo, all’aperto o in casa, purché l’area delle devozioni sia pulita e delimitata da tappeti, da stuoie o sassi. Ma se la moschea è anche madrassa, scuola di formazione e luogo di predicazione laica, se la moschea è anche simbolo identitario da contrapporre ai simboli della civiltà cristiana, se è dunque espressione di quel rifiuto di integrazione pur a parole inseguito dalla associazione «Italia Colorata» della quale è a capo il marocchino M’Hamed Lekroune, allora è chiaro di che «disagio» trattasi.
Quella che interpreta il movimento «Italia Colorata» è dunque la stizza dei «ragazzi, dei più giovani, dei nuovi arrivati» fra gli islamici per una jihad - intesa come sforzo, come impegno per affermare la propria civiltà - che segna il passo, mentre dovrebbe essere travolgente («Combattete coloro che non credono in Allah, che non vietano quello che Allah e il Suo Messaggero hanno vietato, e quelli, tra la gente della Scrittura, che non scelgono la religione della verità, finché non versino umilmente il tributo, e siano soggiogati...», Corano 9, 29).

È evidente che non c’è niente di meglio della moschea, per non parlare del minareto, al fine di «marcare il territorio» di quella Dar-al-harb nella quale l’Italia ovviamente è compresa e che si contrappone alla Dar-al-islam, la «casa» dell’islam (tanto per dire, Dar-al-harb significa «casa della guerra»).

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