Economia

«M’hanno fregato: perché io in carcere e Moggi no?»

Ricucci a colloquio con un deputato a Regina Coeli: «In Italia il successo è un crimine». I magistrati del Riesame: «Rischio di manipolazione delle prove»

Angelo Allegri

da Milano

«Perché io sto in cella e Moggi no?». Nel carcere di Regina Coeli Stefano Ricucci si sfoga. E trova subito una risposta alla domanda che lo arrovella: «M’hanno fregato». A riferire all’Espresso, che le pubblica nel numero in edicola oggi, le parole dell’immobiliarista è un deputato della Margherita, Cinzia Dato, in visita alla prigione romana. «Le cose che ho fatto io le hanno fatte anche altri con i quali facevo affari», dice Ricucci. «Perché io sono stato intercettato e incarcerato e gli altri no? Come se parlavano quest'artri? Che se facevano segnali de fumo?». All’immobiliarista l’esperienza del carcere pesa molto: «Gli unici momenti di sollievo arrivano la notte, quando chiudo gli occhi. Solo allora c’è un po’ di serenità». Quanto ai motivi della sua detenzione in ultima analisi la spiegazione è una sola: «Sono qui perché in Italia il successo è un crimine».
Ora però la priorità è quella di ottenere gli arresti domiciliari: «Ma perché non me li danno? Almeno a casa potrei stare con la mia famiglia». E ancora: «Ho detto tutto, ma che cosa vogliono sapé di più? Del resto, prosegue, «loro continuano a chiedermi cose che nemmeno riguardano i fatti di cui mi accusano. Mi fanno domande su intercettazioni di telefonate che non ho mai fatto e con persone che nemmeno conosco».
Di tutt’altro parere sembrano i magistrati. Almeno a giudicare dalle motivazioni, rese note ieri, con cui il Tribunale del Riesame ha negato nelle settimane scorse la libertà a Ricucci e alle persone arrestate con lui: l’ex ufficiale dell’esercito Vincenzo Tavano, l’imprenditore Tommaso di Lernia (entrambi ammessi ieri al beneficio degli arresti domiciliari), e il brigadiere della Guardia di Finanza Luigi Leccese. «Ove lasciato in libertà», scrivono i giudici, «Ricucci non si asterrebbe dall’usare alcun mezzo, né lesinerebbe alcuna risorsa, pur di influire sull’indagine in corso». Un esempio «dell’attività manipolatoria» di Ricucci, scrive l’ordinanza, è proprio il legame con le persone che lo tenevano al corrente delle attività investigative condotte su di lui. Ricucci, al contrario, ha cercato di minimizzare l’importanza di questi rapporti. Tavano, ha detto per esempio l’immobiliarista, era solo un invadente che cercò di stabilire rapporti di lavoro tra sua moglie, architetto, e Anna Falchi. Altro esempio della capacità di movimento di Ricucci e dei suoi legami politici sono le informazioni ricevute dal sottosegretario alla Giustizia Giuseppe Valentino, che, ribadisce l’ordinanza del Riesame, comunicò all’immobiliarista le intercettazioni in corso.
Quanto al merito delle accuse, secondo i magistrati, «le società del gruppo Magiste non disponevano di una liquidità propria e non producevano un attivo in grado di sostenere una scalata al titolo Rcs delle dimensioni dichiarate alla stampa». Che poi l’immobiliarista volesse davvero impadronirsi del Corriere della Sera e volesse solo lucrare sulle plusvalenze legate alle sue scorrerie, dice l’ordinanza, è tutto sommato irrilevante: ha comunque ingannato il mercato. Su questo punto, quello degli obiettivi finali della scalata, e sulla presenza di eventuali soci occulti, i magistrati negli ultimi giorni hanno più volte interrogato Ricucci. Che avrebbe mostrato, secondo le indiscrezioni trapelate, un atteggiamento più collaborativo, facendo tra l’altro il nome, come potenziale alleato, del gruppo francese Lagardère. Da Parigi è arrivata però una smentita: «Il gruppo Lagardère non ha mai avuto contatti con Ricucci.

Lo ha confermato lo stesso Arnaud Lagardère nel corso di un incontro con gli analisti».

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