Macché Didastro: il campionato scopre altre papere

Dida e i suoi fratelli. Lui ha aperto la strada, gli altri, Doni, brasiliano, portiere pasticcione della Roma, Muslera, Lazio, con la faccia da bambino e gli errori da principiante, infine Consigli, la promessa de ’noantri, custode dell’Atalanta, ne hanno seguito le orme sciagurate. Non c’è pace per i portieri, specie se stranieri, specie se sottoposti allo stress da papera avvilente: mercoledì notte, da Udine all’Olimpico, passando per Livorno, è stata una vera pandemia. Dida ha mostrato alla categoria bistrattata come si esce dalla tempesta mediatica, riuscendo persino a resistere ai lampi del laser puntati contro da qualche mascalzoncello, a Napoli. In questo il brasiliano più discusso e chiacchierato di Milanello, con la carriera divisa in due capitoli, uno da fenomeno, concorrente diretto del trono di Buffon addirittura, l’altro da collezionista unico di «paperissime», è un vero fuoriclasse. Ha i nervi d’acciaio e durante la stessa prova può alternare, con assoluta tranquillità, sfondoni e prodezze nel breve volgere di qualche minuto.
Solo a uno come Dida, che non parla mai, non ha un procuratore, non rilascia interviste e neanche tradisce gravi mutamenti d’umore, può riuscire di rialzarsi dopo l’erroraccio di Madrid e uscire indenne dal lungo viaggio di ritorno attraverso Chievo e Napoli, passando indenne attraverso un referendum spontaneo tra tifosi per chiederne il rimpatrio immediato e coatto a pubblici elogi e pagelle da primo della classe. «Non ho mai visto nessun calciatore incassare come lui critiche e fischi, errori e infortuni» la spiegazione didascalica offerta da Leonardo che a Verona, dopo quella manona salva risultato, gli saltò al collo arrampicandosi sulla sagoma manco fosse una bella figliola. Solo una volta, al ritorno dalla Scozia, per la figuraccia fatta in Champions, si presentò in anticipo a San Siro e chiese scusa al pubblico per la sceneggiata dopo il buffetto del tifoso invasore solitario di Glasow.
A Napoli, mercoledì notte, il bordocampista di Sky, Alessandro Alciato, ha segnalato in diretta l’esultanza da mondiale vinta di William Vecchi dopo il tris di parate, tipo polipo, alzando i tentacoli per difendersi dagli attacchi ripetuti del Napoli. «Certo, con me tutta la panchina era in piedi, stregata dalle prodezze di Dida» la confessione dell’interessato a cui spesso hanno rimproverato, e non solo i critici, d’aver messo Dida davanti a Roma, nella graduatoria seguita all’infortunio di Storari. E se una spiegazione, convincente, è possibile nella notte di Dida e i suoi fratelli, Vecchi è il primo a rintracciarla.

«Quando si gioca a questi ritmi, i portieri non riescono a smaltire le scorie nervose e pagano pegno» manda a dire nella convinzione che bisogna come dopo un incidente stradale, rimettersi subito al volante, per ripartire. Come fece Dida, a Madrid.

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