La "macelleria sociale"? Non esiste

La manovra spaventa e l’opposizione ci marcia, ma chi vuole davvero lavorare ne ha l’opportunità. Un esempio? Due milioni di italiani si dichiarano disoccupati, ma un terzo degli infermieri è straniero

Qui volano i coltelli e prima o dopo finisce che ce ne ritroviamo uno conficcato fra le scapole. In principio era la «macelleria messicana», espressione che molti attribuiscono erroneamente a Indro Montanelli e che invece fu coniata da Ferruccio Parri per descrivere la scena dei corpi straziati di Benito Mussolini e Claretta Petacci appesi a testa in giù a piazzale Loreto. Da qualche giorno è stata aperta la «macelleria sociale», con riferimento ai tagli previsti dalla manovra finanziaria. Spiace rilevarlo, ma allo squartamento ha contribuito anche il presidente del Consiglio, quando ha dichiarato: «Non uno dei fantasiosi provvedimenti di macelleria sociale di cui si legge su certa stampa in questi giorni risponde al vero» (Ansa, 22 maggio, ore 13.47).
Sull’onda di cotanto slancio, lunedì scorso ha fatto la sua comparsa anche la «macelleria culturale»: così Fabio Giambrone (Italia dei valori), in riferimento alla didattica scolastica «già penalizzata dai numerosi tagli della coppia Gelmini-Tremonti» (e in fatto di cultura, si sa, il partito guidato da Antonio Di Pietro non è secondo a nessuno). Forse Giambrone ci teneva a differenziarsi dal suo capo, che fino a 24 ore prima parlava solo di «macelleria sociale», e dal collega Antonio Borghesi, vicecapogruppo dell’Idv alla Camera, che quello stesso giorno continuava a insistere stancamente sul medesimo concetto.
Più elegante, Anna Finocchiaro, presidente dei senatori del Pd, s’è fermata alla «macelleria», senza ulteriori specificazioni, ché il filetto senz’osso resta il preferito dalla gauche caviar quando scarseggia il caviar. Più esplicito Paolo Ferrero, segretario del Prc, il quale, a margine del processo per i fatti accaduti durante il G8 di Genova, ha bollato l’irruzione della polizia alla scuola Diaz come «macelleria anticostituzionale».
Da segnalare la «macelleria mediatico-giudiziaria» che secondo Maurizio Lupi (Pdl), vicepresidente della Camera, sarebbe stata avviata dai giornali dopo la scoperta della lista Anemone. «Macelleria criminale», per di più «bassa», è invece Cosa nostra nel giudizio di Roberto Scarpinato, procuratore generale di Caltanissetta: dica pure «carnezzeria», eccellenza, nessuno oserà contraddirla. C’è poi la «macelleria elettorale» che secondo l’ex deputato Franco Grillini, presidente dell’associazione Gaynet, si starebbe facendo circa la decisione che la Consulta dovrà prendere in tema di matrimonio fra persone dello stesso sesso.
Tutto questo spargimento di sangue è avvenuto nell’ultimo mese. La truculenza dei tempi presenti non può che destare sgomento. Vien voglia di diventare vegetariani. Ma, per tornare alla «macelleria sociale», in assoluto la più frequentata, bisogna pur chiedersi chi sarebbero le vittime sacrificali destinate all’abbattimento. Ieri ho ricevuto l’appello disperato di una di esse, sotto forma di mail inviata alla casella postale del mio sito e firmata con nome e cognome (anche se io qui riporterò solo le iniziali).
Questo il testo: «Mi chiamo G.T. e mi scuso per l’intrusione, ma credo che capirà. Sono alla ricerca di un lavoro, essendo disoccupato da più di tre anni, 48 anni, due figli a carico, moglie anch’essa inoccupata, laurea in economia, ecc..., ed ho urgenza di lavorare quanto prima. Ho inviato molte mail, per la ricerca di un lavoro, ad aziende, imprese, società, fondazioni, associazioni, studi professionali, ecc..., ma tutti, puntualmente, mi hanno detto “le faremo sapere...”, solo che, nel frattempo, la mia richiesta di aiuto per un lavoro finiva nel dimenticatoio. Ho anche spedito per lettera, ed inserito (alcuni anni fa, con aggiornamenti vari) nella sezione “Lavora con noi” di tanti siti web, il mio curriculum vitae, ma niente è successo. Quindi, ho deciso di inviare e-mail anche ad indirizzi che incontravo durante la ricerca, nel caso si presentasse una coincidenza di lavoro di chi leggeva. Certo ci vuole fortuna. Non posso continuare a sperare, tanto di speranza non posso più vivere. Ho bisogno di una opportunità concreta. Pertanto, Le chiedo: è possibile inviarmi degli indirizzi e-mail di conoscenti/amici, suggerimenti, altro, (di Roma e/o Milano) a cui poter mandare il mio curriculum vitae? Sono un padre di famiglia in difficoltà, potete aiutarmi? Scusandomi per il disturbo e in attesa di una Sua risposta, Le mando i miei migliori saluti. Buona serata, G.T.».
Lì per lì il messaggio mi ha angosciato. Confesso che non sono riuscito a rispondere (e io, di solito, rispondo a tutti), per il semplice motivo che non avrei saputo che cosa rispondere. Mi sono detto: ecco qua un quarto anteriore, uno sventurato padre di famiglia fatto a fettine e appeso al gancio della «macelleria sociale». Poi, però, ho analizzato meglio la mail. Partendo dalla fine. Intanto G.T. mi augurava «buona serata» ma la mail risultava spedita alle 9.33 di lunedì. Capisco che in questi casi si lavori di copia-e-incolla, ma un minimo di attenzione anche formale, per chi è alla ricerca di un lavoro e vuole dimostrare il suo zelo, non guasterebbe.
G.T. non mi dice dove abita, quali lavori ha svolto in precedenza e perché li ha persi. Soprattutto non specifica né che cosa vorrebbe fare né che cosa saprebbe fare. E quella «laurea in economia», messa così, potrebbe riferirsi sia a lui sia alla «moglie inoccupata»: una sintassi malcerta che è quantomeno indizio di scarsa confidenza con la lingua italiana (e chi lo assume, con questi chiari di luna, un laureato che non sa nemmeno scrivere?). Anche «padre in difficoltà» dice poco: i due figli che età hanno? Era meglio precisarlo: fa sempre un certo effetto sull’interlocutore dal cuore tenero.
Ma quello che mi ha maggiormente stupito è che un padre di famiglia «disoccupato da più di tre anni», con «moglie anch’essa inoccupata», sia riuscito a sopravvivere fino a oggi. Devo concluderne che la «macelleria sociale» qualcosa - non dico il lesso, ma almeno la mortadella - gli ha passato in questi 36 mesi. Altrimenti di che avrebbero campato quattro persone fino a oggi?
Infine l’«urgenza di lavorare quanto prima». Se io perdessi il lavoro e non riuscissi a trovarne un altro nel giro di una settimana, credo che morirei di crepacuore. Invece G.T. riesce a convivere da tre anni con questa «urgenza». Magari non benissimo, ma ci convive. Tanto urgente non dev’essere.
Allora la domanda decisiva che vorrei porgli è la seguente: ma lei cerca un lavoro o cerca un posto? Perché vede, caro G.T., non sembra essere il lavoro a scarseggiare nel nostro Paese: semmai la voglia di lavorare. Altrimenti non si spiegherebbe per quale motivo un terzo degli infermieri sia formato da persone che provengono da 142 Stati.

Che cos’è questa se non la prova che di connazionali disposti a lavorare, per esempio negli ospedali, non se ne trovano più?
Vogliamo continuare? In Italia gli anziani li accudiscono le badanti moldave, i clienti nei ristoranti li servono le cameriere slave, i cibi li preparano i cuochi maghrebini, le capricciose le infornano i pizzaioli egiziani, i piatti li lavano gli sguatteri senegalesi, i palazzi li costruiscono i rumeni, i muri li imbiancano gli ucraini, il latte lo mungono i sikh, i formaggi li fanno gli etiopi, gli agrumi li raccolgono gli ivoriani, le piante nei giardini le mettono a dimora gli indiani, i bar li gestiscono i cinesi, gli appartamenti li tengono in ordine i filippini e i singalesi, le pelli le conciano i ghanesi, i pacchi dei corrieri li recapitano i peruviani. Nel contempo oltre 2 milioni d’italiani si dichiarano disoccupati, proprio come lei. Mi sa che la «macelleria sociale» spesso riuscite a farvela da soli.
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

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