Cultura e Spettacoli

Madri, figlie e isole del sud al docu-festival di Zingaretti

L’universo femminile protagonista al concorso lanciato dall’attore. In giuria Gabanelli, Sironi, Occhipinti

Michele Anselmi

da Siena

Se chiedi a Luca Zingaretti perché s'è messo in testa di inventare e dirigere a Siena una Festa del documentario, la risposta è telegrafica: «Ma perché è una bella idea». Poi, aggiustandosi il cappelluccio da baseball verde e mostrando la t-shirt nera con la scritta-logo Hai visto mai?, precisa: «Nell'epoca delle “news on line”, della diretta tv, del mondo che va veloce, il documentario rappresenta un’occasione per riflettere e approfondire una storia, un concetto, un argomento». Così, partendo da una passione avidamente coltivata che l’ha portato a girare due documentari, il commissario Montalbano s'è tramutato in un fattivo direttore di festival: tutto a titolo gratuito, per il piacere di farlo da queste parti (in Val di Serse ha acquistato un casale in rovina), mettendo insieme un nutrito gruppo di sponsor (l’intero budget si aggira sui 70mila euro) e invitando in giuria alcuni amici fidati, da Alberto Sironi a Milena Gabanelli, da Sandro Petraglia ad Andrea Occhipinti.
E dunque: Hai visto mai?. Titolo amichevole e sdrammatizzante, che invita alla curiosità, anche infantile, benché l'intestazione della rassegna reciti subito dopo Inediti italiani su temi sociali e di costume. Un recipiente abbastanza ampio per accogliere pietanze e cibi diversi, ovvero una decina di filmati inediti in concorso, il migliore dei quali, a parere dei giurati, sarà proiettato da una delle tre reti Rai. Ma il menu contempla anche una sezione fuori competizione, detta Nessuno escluso, più incontri e lezioni d’autore (giovedì pomeriggio il facondo Gianni Minà ha presentato il suo In viaggio con Che Guevara, ieri la Gabanelli ha spiegato rischi e tecniche dell’inchiesta tv modello Report).
Al settimo piano del complesso Santa Maria della Scala il quartier generale, dove sciamano dalla mattina alle dieci registi e giornalisti, esperti del ramo e spettatori locali. Ieri la giornata ha decisamente riservato un occhio di riguardo al côté femminile del documentario. Non fosse altro perché, in rapida successione, si sono visti Di madre in figli di Fabiana Sargentini e Isola Femmina di Gaspare Pellegrino e Corrado Fortuna (già protagonista di My name is Tanino). A pensarci bene, due sguardi sull’universo muliebre, sia pure da punti di vista diversi.
La Sargentini, ad esempio, dopo il suo Io sono incinta che registrava lo sgomento maschile di fronte alla rivelazione di una prossima paternità, indaga sul rapporto complicato, anche molto conflittuale, che unisce/divide madri e figlie. Una decina i «casi» presi in esame, pescati in un ambiente medio-alto, per lo più intellettuale, lo stesso della regista, e però raccontati con tenera durezza, senza censurare nulla, incluse lacrime e crisi di nervi. Madri sessantenni troppo avvolgenti o freddamente assenti, figlie trentenni impietose e fragili, a loro volta madri di bambine che quasi strappano l'applauso con le loro uscite. «Mamma è strampalata, sfortunata, spiritosa e appiccicosa», dice una che non ha neanche dieci anni; e un'altra, più piccola: «Ho lavorato tanto per avere una riuscita così di me stessa». La domanda cruciale: «Che cosa non perdoni a tua madre?». La madre della regista, tatuaggi indiani e occhi bistrati, rivela senza esitare: «Non le perdonerò mai... tutto».
Più lieve ed elegiaco, con qualche punta di commozione, il ritratto che Pellegrino e Fortuna cesellano dell'isola di Favignana, di fronte a Trapani, meta estiva di tanta gente dello spettacolo. Ma è una Favignana «fuori stagione» quella che ci appare, quando gli abitanti tornano ad essere meno di tremila. L’idea è di filmarla come «un'isola delle donne», ora giovani e combattive, ora straniere e naturalizzate, ora anziane e nostalgiche della gloriosa Tonnara Florio chiusa da tempo.

Il tono malinconico riserva qualche accensione comica (quella Pina con figlia a Dublino), e certo si esce dalla sala con una gran voglia di prendere l’aereo per quei luoghi aspri e silenziosi che certo non dispiacerebbero a Montalbano.

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