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Il Maestro Tabarez interroga i francesi

L’ex allenatore del Milan, grande incompreso del calcio, torna alla ribalta alla guida dell’Uruguay. E può permettersi di far paura a Domenech nella prima sfida clou. Forlan l’uomo chiave per il colpo

Il Maestro è calmo. Anzi cal­missimo. Eppure stasera gioca contro la Francia. Non cambia. Questo è, questo era e questo sempre sarà Oscar Washington Tabarez, di anni sessantatrè ma con la stessa faccia da sempre, un po’ malinconica come la gen­te di una terra bellissima e lonta­na, ultima speranza prima del­l’acqua dell’oceano. Adesso por­ta gli occhiali, i capelli, ovviamen­te non sono più neri di pece ma hanno preso l’argento della sag­gezza. Stasera la Francia e, pensa­te un po’ gli scherzi del football, l’Uruguay è favorito. L’incompreso non si fida, l’in­compreso sa benissimo che do­po la fiesta viene il temporale, la sua carriera lo conferma. L’In­compreso è, insieme, il Maestro. Quando sbarcò in Italia sembra­va il nuovo profeta, uno dei tanti che approdano nel nostro cam­pionato annunciando il nuovo verbo, un nuovo modo di allena­re, un nuovo modo di esistere, di dire, di fare. A Cagliari gli bastò un nono posto per essere letto a promessa mondiale. Il Milan lo prese sognando chissà cosa, do­po il periodo sacchista e quello capelliano. A parte i soliti corian­doli d’avvio l’avventura si compli­cò, il Milan sbandava e a Piacen­za, era l’1 di dicembre del Novan­­tasei, le buscò dal Piacenza, aves­si detto. Il Maestro si ritrovò in mi­nuti due senza cattedra. Fu come la svolta, il segnale che era finita la bella epoca nostrana. In verità nemmeno Sacchi riuscì a rimette­r­e in piedi una squadra sbalestra­ta, i maghi del football sono un’in­venzione giornalistica. Tabarez ci riprovò con Caglia­ri, Oviedo, roba piccola, roba amara, breve, quasi feroce in Sar­degna con un licenziamento do­po appena tre giornate tre, in­somma fine di un mito, fine di un sogno. Quasi ce ne eravamo di­menticati, adesso la Celeste ri­propone il proprio casato illustre che fu e soprattutto ripresenta Ta­barez che dal Duemilasei ha pre­so questo incarico che è quello definitivo ormai della sua carrie­ra. Maestro, Incompreso e, dun­que Incompiuto. Maledetto calcio che esalta e brucia, Tabarez preferisce il pro­filo basso, parla con calma, non declama, non strilla, così come è lo stile della gente uruguagia. Non è stato turbato dal controllo a sorpresa antidoping effettuato ieri su otto giocatori della sua na­zionale. Lo spirito del Paese vive ancora di ricordi, di quella gior­nata magica al Maracanà, Sepp Blatter ha deciso di consegnare ad Alcide Ghiggia l’onorificenza al merito sportivo come simbolo eterno, storico del calcio urugua­gio e stasera ci sarà pure lui allo stadio, il fenomeno con i baffetti della Roma e del Milan, quello che per celebrare quella vittoria sul Brasile affermo: «Solo tre per­sone sono riuscite a zittire il Ma­racanà, Frank Sinatra, il Papa e io». Non certo Tabarez che sta in si­lenzio da sempre ma stasera ha la voglia pazza di fare lo scherzo, il primo, ai francesi di Domene­ch uno che, al contrario suo, non tiene mai la lingua fredda e si muove e si agita e provoca e per­de. Dunque c’è una partita a mar­gine della partitona. C’è Oscar Washington al suo ultimo giro di danza, mentre i tifosi cantano « Uruguay te queremos ver campe­on, porque en esta tierra vive un pueblo con corazon », football e passione, smarriti nel tempo, per la crisi, per il tramonto di una scuola che ogni tanto si rialza e ripropone qualche talento. Non più Francescoli, non più Fonse­ca, non più Recoba ma oggi l’uo­mo che fa sognare si chiama pure lui Diego ma di cognome fa For­lan, campione di Europa league. Ecco che il vecchio continente si riallaccia a una terra così distan­te, ecco che Tabarez va alla ricer­ca di un riscatto personale, pro­fessionale. Bisogna abbattere l’arco di trionfo, ha titolato Ulti­mas Noticias di Montevideo.

Ab­battere proprio? Basterebbe pas­sargli sotto.

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