Politica

Mafia-antimafia, duello devastante per l’Unione

N on so se Prodi, Fassino e Rutelli si siano resi conto - ha scritto Emanuele Macaluso - di cosa significa in Sicilia la contrapposizione, non la competizione, all'interno dell'Unione sul terreno morale mafia-antimafia. Le conseguenze saranno «devastanti». E aveva già spiegato, una settimana fa, quando già i Ds si orientavano a candidare per la presidenza della Regione Rita Borsellino, la sorella del giudice ucciso dalla mafia, che «pensare che la battaglia per rinnovare la Regione si possa vincere in un duello elettorale incentrato solo sul tema mafia-antimafia, issando un simbolo, significa non capire nulla né della Sicilia, né di ciò che è il blocco di potere che oggi la governa».
La rottura. La questione si è aggravata ed è degenerata dopo la frattura tra i Ds e la Margherita e l'espulsione di Leoluca Orlando dalla direzione del partito decretata da Francesco Rutelli dopo che l'ex sindaco di Palermo aveva dichiarato il suo favore per la Borsellino contro il candidato della Margherita, che è il rettore dell'università di Catania Ferdinando Latteri. È così che la contrapposizione mafia-antimafia, già data come perdente nello scontro con il centrodestra, si è trasferita nel campo stesso del centrosinistra con conseguenze «devastanti».
In verità, nessuno crede che Rita Borsellino possa vincere in nome dell'antimafia la sfida con Totò Cuffaro, governatore uscente, nemmeno i Ds che l'appoggiano, e non ci crede nemmeno Leoluca Orlando, che di tutta evidenza cavalca la candidatura antimafia della Borsellino soltanto per promuovere la sua candidatura a sindaco di Palermo, città che ha già governato per dodici anni. Orlando si nasconde dietro Rita Borsellino non fosse altro per far dimenticare ciò che ha combinato contro Giovanni Falcone, ucciso dalla mafia due mesi prima di Paolo Borsellino.
Il caso Addaura. Lo ricorda a più riprese nel suo diario postumo un compagno di partito di Macaluso, il senatore Gerardo Chiaromonte, all'epoca presidente della Commissione parlamentare antimafia: «Poi ci fu l'attentato fallito a Falcone nella casa sul mare all'Addaura. Mi telefonò Leoluca Orlando e mi invitò a partecipare a una riunione straordinaria del consiglio comunale di Palermo, dove fece un lingo discorso. Qualche tempo dopo mi fece notare egli stesso che, in quel discorso, non aveva mai pronunciato la parola “mafia”. Io non capii bene cosa volesse dire. La cosa fu chiarita successivamente da alcuni seguaci di Orlando, i quali sostennero che era stato lo stesso Falcone a organizzare il tutto per farsi pubblicità e per rafforzare la sua candidatura a procuratore aggiunto a Palermo».
E perché Orlando ce l'avesse tanto con Falcone, Chiaromonte l'aveva capito già prima dell'attentato dell'Addaura: «Ricordo la discussione che si svolse, a casa del segretario siciliano del Pci Michele Figurelli, tra Orlando e Falcone su Giulio Andreotti. Orlando era implacabile. Il suo giudizio era durissimo e senza appello. Affermava che c'erano tutti gli elementi per agire contro Andreotti sul piano giudiziario. E Falcone si affaticava a spiegare che, per condannare o anche solo per incriminare una persona, un giudice non può basarsi sui “si dice” o sui “ragionamenti” politici. Deve avere le prove. E poi aggiungeva che, di Andreotti, non si poteva parlare solo per alcune sue amicizie, più o meno ambigue, ma per il complesso della sua personalità politica, per il prestigio di cui godeva fuori del paese, eccetera. Io convenivo con lui...».
Le accuse a Falcone. Quando Falcone verrà a Roma a dirigere gli Affari penali del ministero di Grazia e giustizia, ministro il socialista Claudio Martelli e presidente del Consiglio Andreotti, Chiaromonte non ha più dubbi: «Non giriamoci attorno: l'accusa principale che, da parte di molti suoi colleghi e anche da parte di gruppi politici (non solo la Rete e Leoluca Orlando) era stata rivolta a Falcone era quella di avere di fatto abbandonata la lotta alla mafia e di essere diventato, più o meno, uno strumento del potere politico...».
Orlando arriverà fino al punto di accusare in televisione Falcone di nascondere «le prove nei cassetti» per non arrestare Salvo Lima e processare Andreotti, e presenterà di persona un esposto contro di lui al Consiglio superiore della magistratura: «Convocato il 15 ottobre del 1991 dinanzi alla prima commissione del Csm, quella competente per i trasferimenti d'ufficio per i magistrati - racconta il professor Mario Patrono, ordinario di Diritto pubblico e membro del Csm per i socialisti - Falcone subisce un vero e proprio terzo grado. Rintuzza le accuse di Orlando, definendole “eresie, insinuazioni” e “un modo di far politica attraverso il sistema giudiziario”. Confina nel limbo dei sospetti le “dichiarazioni emergenti negli atti giudiziari, che riferiscono dei rapporti tra esponenti mafiosi e l'onorevole Lima”. Accenna a tutta una serie di “strane frequentazioni di Pellegriti” e di “convegni carcerari in cui certe persone hanno incontrato Pellegriti” (Falcone allude a Carmine Mancuso, seguace di Orlando nella Rete, che si è recato nel carcere di Alessandria con la scusa di un convegno e ha incontrato Giuseppe Pellegriti, il finto “pentito” che accusa Salvo Lima di essere stato il mandante dell'assassinio di Piersanti Mattarella, presidente della Regione sicilia. Ma Falcone non crede a Pellegriti e, invece di arrestare Lima e di avvisare di reato Andreotti, arresta il falso “pentito”...».
«Falcone grida - prosegue il professor Patrono - che “non si può investire della cultura del sospetto tutto e tutti”. La cultura del sospetto non è l'anticamera della verità (come proclamano padre Pintacuda e Orlando). La cultura del sospetto è l'anticamera del khomeinismo. Falcone denincia il “linciaggio morale continuo” nei suoi confronti, da quando ha emesso il mandato di cattura nei confronti di Vito Ciancimino, perché quel mandato di cattura “non è piaciuto”, in quanto dimostra che, nonostante la presenza del sindaco Orlando, la situazione degli appalti nel comune continuava ad essere la stessa...».
E Falcone dinanzi al Csm conclude così: «Orlando ormai ha bisogno della temperatura sempre più alta. Sarà costretto a spararla ogni giorno più grossa. Per ottenere questo risultato lui e i suoi amici sono disposti a tutto, anche a passare sui cadaveri dei loro genitori. Questo è cinismo politico. Mi fa paura...». Falcone, che sarà ucciso sette mesi dopo, ha paura di Orlando e del suo cinismo politico. La sorella di Falcone, che va ai convegni antimafia con lui, e la sorella di Borsellino, che accetta il suo sostegno alla candidatura, evidentemente non hanno paura di lui. Ma ha ragione Macaluso: non si governa la Sicilia con l'Antimafia e la contrapposizione mafia-antimafia all'interno del centrosinistra avrà conseguenze devastanti.


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