nostro inviato a Palermo
È un pasticcio mafioso in cinemascope. È la storia, che poco o niente ha interessato gli inquirenti siciliani, del centro commerciale più grande d’Italia che sarebbe dovuto sorgere vicino Palermo, a Villabate, grazie all’accordo siglato fra la cosca dei Mandalà e imprenditori della grande distribuzione e del cinema che già avevano lavorato per Veltroni quand’era al Campidoglio. È una vicenda assai poco pubblicizzata dai media, fors’anche per quei riferimenti sgradevoli al fratello di Veltroni, Valerio, e soprattutto al defunto Carlo Caracciolo, padre nobile di Repubblica, che secondo le accuse del pentito Francesco Campanella avrebbe garantito comunque una copertura mediatica all’operazione. Una questione giudiziaria non gradita anche perché un parente di Caracciolo, per la cronaca, sarebbe stato in rapporti strettissimi con l’imprenditore Pierfrancesco Marussig che recentemente ha preso sette anni per corruzione insieme al socio Giuseppe Daghino in un processo di mafia dove le condanne complessive ammontano a mezzo secolo di carcere.
E se le posizioni dei Veltroni e dei Caracciolo non sono state giudicate meritevoli di approfondimento processuale da parte dei pm siciliani al pari del presunto interesse delle coop rosse a edificare l’ipermercato di Cosa Nostra, gli episodi che li riguardano trovano eco fra le migliaia di carte processuali che nessuno ha avuto la bontà di leggere.
Vediamole insieme. Nei primi anni 2000 nasce l’idea di realizzare un centro commerciale faraonico a Villabate, comune ripetutamente sciolto per mafia. Il progetto, supervisionato da Cosa Nostra, è affidato alla Asset Development srl di Marussig e Daghino che si trova a dover risolvere alcuni problemi: convincere i proprietari di 158 terreni a vendere la terra, convertire le aree da agricole a produttive, ottenere varianti al Prg per la costruzione di svincoli e parcheggi, portare a più miti consigli un consigliere rompiscatole dei Ds che s’era messo di traverso. Come fare? Si chiede aiuto alla cosca locale che curava direttamente la latitanza di Provenzano. Con le buone o con le cattive i Mandalà risolvono tutti i problemi ottenendo in cambio contanti e una co-gestione nel business. I quattrini - secondo gli accordi - vanno versati estero su estero: un primo anticipo da 25mila euro (la tangente iniziale concordata da Marussig con il futuro super pentito Campanella ammontava invece a 200milioni di lire) la Asset lo paga a mo’ di consulenza.
All’esborso che tarda ad arrivare – racconta il collaboratore di giustizia – alla fine ci pensa direttamente Daghino, già consulente della giunta Veltroni: «Me lo presenta Marussig nel suo ufficio romano come l’anima finanziaria della società e come consulente dell’amministrazione Veltroni per le cartolarizzazioni immobiliari. Marussig mi dice di aspettare ancora qualche giorno per i soldi, è solo un problema di somme. “Ci pensa lui dice...” indicando Daghino». Il quale annuisce e rassicura: «La prossima settimana – ribatte – il bonifico sarà fatto». E così è stato, la prova è negli atti del processo. Nel frattempo il piano si arena in Regione ma solo dopo che – a detta di Campanella - si era provveduto ad avvicinare il consigliere scomodo. Il pentito Campanella racconta che fu l’entourage di Veltroni, se non proprio lo stesso sindaco, il canale attraverso il quale venne avvicinato e «ammorbidito» il consigliere Ds, Giuseppe Mannino. «Marussig era impressionato dagli attacchi dell’opposizione in consiglio comunale. Mi disse che stava cercando di capire se riusciva ad agganciare per vie politiche sue personali, attraverso contatti con Roma, il consigliere Ds per riportarlo a una posizione più normale rispetto al piano commerciale, e mi disse che avrebbe utilizzato il suo socio Daghino, che essendo consulente dell’amministrazione di Roma e del sindaco Veltroni aveva magari contatti con esponenti politici dei Ds che in qualche modo avrebbero provato a contattare Mannino».
Quale miglior strada. Il manager era notissimo in Campidoglio avendo collaborato direttamente con l’amministrazione Veltroni attraverso la società «Risorse per Roma» partecipata interamente dal Comune di Roma, essendone stato responsabile amministrativo e finanziario sin dalla sua costituzione (1995). Più avanti, nel 2003, Daghino si era personalmente occupato anche del progetto di cartolarizzazione degli immobili dell’amministrazione capitolina. Come se non bastasse, s’è scoperto che la Asset Group del duo Marussig-Daghino lavorava fianco a fianco alla giunta Veltroni con studi di fattibilità per il piano di assetto dei mercati comunali, con prospetti di ripristino e restauro di aree del centro di Roma, con progetti di una piazza al quartiere della Romanina, e tant’altro ancora. Di casa in Campidoglio, associati a Cosa Nostra. Pagina 734 della sentenza di condanna di Marussig e Daghino: «Le due entità, mafia e Asset Development, si sono sempre mosse a partire dal 2000 in assoluta simbiosi e sinergia d’intenti, come soci di una società criminale di scopo». Passano i mesi e sui giornali si comincia a parlare degli interessi della mafia per i centri commerciali. Marussig è preoccupato, anche se l’idea di abbandonare la cattedrale dello shopping in Sicilia con annessi una serie di stabili per proiettare film («lui che è – scrivono i giudici – personaggio ben noto nel circuito delle multisale cinematografiche») non gli passa per la testa.
Per provare ad allontanare i sospetti rilascia un’intervista a Repubblica nella quale spiega «che la mafia non l’aveva mai vista, e a Villabate era tutto tranquillo». Repubblica non era un giornale qualunque, la scelta non cadeva a caso. Anche questo articolo, rivelava Campanella, «era stato commissionato perché Marussig mi disse che Repubblica era socia nell’operazione. Caracciolo (editore di Repubblica, morto lo scorso dicembre, ndr) è uno degli investitori in questo centro commerciale, a tal punto che non solo Caracciolo gli diede la pagina per fare questa cosa e lo spingeva e gli dava la Repubblica per fare tutti gli interventi, ma lo mise a conoscenza di una lettera anonima che arrivò in procura, ai carabinieri e a Repubblica, in cui si parlava di me e di Mandalà», il boss locale. L’allora responsabile della redazione palermitana della Repubblica, Fabrizio Giustino, in aula offre riscontri alle dichiarazioni di Campanella: «Ho avuto tre incontri con Marussig nel 2003. Voleva parlarmi di questo investimento a Villabate, mi disse che lui era capofila di una società che gestiva il Warner Village di Roma e che uno dei soci era un fratellastro di Caracciolo». Marussig, aggiunge Giustino, gli parlò anche dei rapporti che lo stesso intratteneva con Maurizio Scaglione, responsabile della società Manzoni che raccoglieva la pubblicità per Repubblica, al fine di ottenere un passepartout in ambienti politici. Campanella sul punto ha precisato: «A quanto ne so Caracciolo non è mai stato informato più di tanto della vicenda, però rispetto a questo, ne ho parlato con il fratello, il fratellastro, Ettore Rosboch» collegato a Marussig nella società di cinematografia Focus.
E a proposito di cinema, Campanella ricorda: «Nella nuova struttura si sarebbe dovuto costruire anche un Warner center, con 20 sale cinema, al quale sarebbe stato interessato il fratello di Veltroni, Valerio». Dopo aver rischiato la diffida per aver snobbato la convocazione del tribunale, il 20 ottobre, Walter Veltroni si presenta in aula e giura (vedi verbale sotto) di essere all’oscuro delle cose mafiose di Villabate. Dove persino le coop rosse un tempo vicine al suo partito, sempre per «colpa» di Marussig avevano fatto più di un pensierino sul business della costruzione del megastore benedetto da Cosa Nostra.
Se non se ne è fatto niente è solo perché i carabinieri sono arrivati in tempo. Prima dell’inizio del film sul centro commerciale che tanto piaceva a un certo Bernardo Provenzano.gianmarco.chiocci@ilgiornale.it
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