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Mafia, torna libero Ignazio D'Antone. Ennesimo no alla revisione per Contrada

II destini paralleli dei due superpoliziotti, entrambi condannati per concorso esterno in associazione mafiosa: l'ex capo della Mobile di Palermo ha finito di scontare la pena ed è stato scarcerato; l'ex 007, ai domiciliari per ragioni di salute, si è visto negare il via libera a un nuovo processo dalla Cassazione

I loro destini si sono incrociati a Palermo, dove, entrambi poliziotti, hanno lavorato negli anni '70 e '80. Ed entrambi, all'apice della carriera, sono stati fermati dall'accusa più infamante, quella di essere collusi con quei boss che, per mestiere, avrebbero dovuto catturare. Gli anni sono passati, ma i destini di Bruno Contrada e di Ignazio D'Antone, ex funzionario del Sisde ed ex capo della Mobile di Palermo, restano uniti da un filo, oltre che dallo stesso difensore, l'avvocato Giuseppe Lipera: D'Antone, finita di scontare la pena a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, ha lasciato il carcere di Santa Maria Capua Vetere, in cui era rinchiuso dal 2004, da quando cioè la condanna a dieci anni era diventata definitiva; Contrada invece, che sta finendo di scontare la pena ai domiciliari, si è visto respingere per l'ennesima volta, dalla Cassazione, la richiesta di revisione del processo.
D'Antone avrebbe dovuto rimanere in cella sino a dicembre, ma in virtù della buona condotta durante il periodo di detenzione gli è stato concesso lo sconto di qualche mese. Settantadue anni, catanese, capo della Mobile di Palermo dopo l'uccisione, il 21 luglio del 1979, di Boris Giuliano, negli anni Ottanta è stato uno degli uomini di punta, con Contrada, della polizia di Palermo. Ha diretto, tra l'altro, anche la Criminalpol, e poi è passato all'ufficio dell'Alto commissario per la lotta alla mafia e al Sisde. A chiamare in causa D'Antone - così come Contrada - alcuni pentiti. Due in particolare gli episodi contestati: il mancato blitz, nel 1984, all'hotel Costa Verde di Cefalù durante la festa di nozze di Antonino Spadaro, figlio del boss della Kalsa; e un altro presunto blitz mancato, nel 1983, quello al battesimo del nipote di Pietro Vernengo. D'Antone ha respinto con forza tutte le accuse, sostenendo di avere sempre fatto il suo dovere di poliziotto. E per il suo «profondo attaccamento alle istituzioni», qualche anno fa,ha ricevuto un encomio in cella, dall'organizzazione penitenziaria militare del carcere casertano.
Resta invece in regime di detenzione, anche se ormai definitivamente ai domiciliari vista l'età e le precarie condizioni di salute, Bruno Contrada. A lui la Cassazione, per l'ennesima volta, ha opposto un «no» alla richiesta di revisione del processo. A dire no a un processo bis erano già stati i giudici di Caltanissetta, che avevano rigettato la richiesta di riaprire il processo dopo che, in un libro del procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, era venuto fuori che Vincenzo Scarantino, il falso pentito della strage di via D'Amelio, aveva reso delle dichiarazioni su Contrada mai entrate in dibattimento perché considerate non credibili dal pm. La Suprema corte ha confermato: non ci sono estremi, né nel libro del pm Ingroia né nelle dichiarazioni di Scarantino, per dire che ci fu un complotto contro l'ex 007. «Un simile provvedimento - tuona l'avvocato Lipera - non può essere condiviso: è ingiusto e, anche se ormai è palese che nessun giudice abbia intenzione di diradare la fitta nebbia che avvolge il mio assistito e di approfondire la vicenda che lo riguarda, non rinuncerò mai a difendere e gridare la sua più totale innocenza, la sua assoluta estraneità ai fatti addebitatigli».

Contrada, anche lui condannato a dieci anni per concorso esterno in associazione mafiosa come D'Antone, finirà di scontare la pena ai primi di ottobre.

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