Magistrati: un contropotere che va subito fermato

Caro Granzotto, credo che questa volta ci siamo: la magistratura è partita per l’attacco finale in un’azione che non si può definire altrimenti che eversiva. Tale si configura il tentativo di impugnare uno dei principi fondamentali dello stato di diritto, la separazione dei poteri: il legislativo (Parlamento), l’esecutivo (governo) e il giudiziario (magistratura). Se la magistratura riuscirà ad estorcere il diritto di intromettersi nella gestione amministrativa del Paese e in quella legiferante, l’Italia non potrà più dirsi democratica. Non credo che al punto in cui siamo giunti sia importante stabilire se ha ragione Silvio Berlusconi o Oscar Luigi Scalfaro, che pure anticipò proprio il lodo Maccanico-Schifani con l’ormai storico «Non ci sto!» del 1993. E ciò nel silenzio della stampa e della magistratura «democratica». Ciò che noi siamo tutti chiamati a difendere è il pieno rispetto della separazione dei poteri, anche se non so proprio come andrà a finire con tutto questo tirare la giacchetta al capo dello Stato. Speriamo si ricordi, lui che ha l’età, che cosa significò il primato del potere giudiziario e che cosa furono i tribunali speciali.


Speriamo. Ma anche se Napolitano avesse dei vuoti di memoria, il Parlamento può andare fino in fondo per riaffermare - e difendere - la propria sovranità. È la nostra Costituzione (la stessa alla quale magistrati, politici e giornalisti «democratici» si appellano ogni due per tre) che l’autorizza a farlo. L’articolo 74 recita infatti: «Il presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione. Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata». Deve. A conferma dell’indipendenza, dell’autonomia del potere legislativo che se non può essere subordinato al Quirinale, figuriamoci a un’associazione di magistrati. Se dunque si arriverà al braccio di ferro e si volesse andare fino in fondo, sappiamo già chi risulterebbe vincitore. Ovviamente nel pieno rispetto delle regole democratiche e di quella Costituzione che essendo nata, come da sessant’anni ci stanno ripetendo, dai valori della Resistenza non può che promuovere ciò che è bene e ciò che è giusto per il popolo (sovrano). Al pari di lei, caro Menichella, sono anch’io fermamente convinto che stavolta ci giochiamo tutto. E che dunque anche il più piccolo cedimento dalla linea di intransigenza (democratica) non possa che produrre un’alluvionale deriva sovversiva. Il cui fronte non è costituito solo da una magistratura che intende dettar legge quando invece dovrebbe limitarsi ad applicarla, ma anche dal giacobinismo girotondino d’una certa fazione della società civile che si riconosce negli isterismi di MicroMega. Quando si legge, ovviamente su la Repubblica e, neanche da dire, a firma di Curzio Maltese, che Berlusconi manifesta «disprezzo irridente per ogni contropotere democratico, a cominciare dalla magistratura», c’è poco da star tranquilli. Ritenere quello giudiziario non un potere, ma un contropotere - contro il potere, rappresentato, è ovvio, da governo e Parlamento - significa avere della democrazia un concetto alla Ulbricht, alla Pol Pot.

Significa soffiare a pieni polmoni sul fuoco della sovversione, attentare alla Costituzione e far strame dei princìpi che costituiscono le fondamenta dell’ordinamento democratico. Quella è gente che va fermata e va fermata adesso. Perché ove mai dovesse spuntarla, stia pur certo, caro Menichella, che non ci concederebbe una seconda occasione.

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