Magistrati e politici, il bipolarismo che affonda l'Italia

Sono venti anni che in Italia esiste un bi­polarismo perfet­to. Altro che. Da una parte i governi,dall’al­tra i magistrati. Il presiden­te del Consiglio continua a parlare di magistrati co­munisti. Sì, può anche dar­si che alcuni di loro abbia­no simpatia per la sini­stra. Ma sbaglia. Ciò che li caratterizza non è il colo­re, ma l’assolutismo del proprio potere. Un potere non eletto dal popolo, non giudicato dal popolo, autoreferenziale, protet­to dalla consuetudine re­pubblicana e di grande ca­pacità propagandistica. I magistrati rappresen­tano un ramificato partito che è tenuto insieme dalla più giacobina delle intui­zioni: la verità assoluta. Se un magistrato sbaglia è una mela marcia in un ce­sto profumato, se un poli­tico ruba è la classe politi­ca nel suo insieme che fa ribrezzo. Berlusconi, po­trà scampare all’ennesi­ma attenzione giudizia­ria. Potrà elevare i suoi vi­zi privati a quel che sono. Potrà scardinare le costru­zioni oniriche, e soprattut­to giudiziarie, sullo stragi­smo. Ma troverà sempre una sezione del potente partito che avrà il modo di esercitare la sua obbliga­toria attività di investiga­zione. Uno scudo formida­bi­le per giustificare qualsi­asi tipo di violazione delle libertà individuali. Il me­stiere del Pm, da che mon­do e mondo, è quello di so­spettare. In un contesto, però, in cui un giudice re­stituisca un equilibrio tra le parti. Ecco, in Italia il partito dei giudici deve la forza alla sua granitica compattezza: Pm e giudi­ci tagliano con decisione la complessità dei propri conflitti, nel comune inte­resse di rappresentare un potere unico e indiviso. La politica al contrario ha smarrito completamente il peso del proprio ruolo, dividendosi per guada­gnare qualche rendita di posizione. Sciocchi sono coloro i quali, dall’attuale opposizione, immagina­no per un solo secondo di potersi, loro, sottrarre al medesimo trattamento ri­servato a Berlusconi. Il tema supera la que­s­tione contingente del Ca­valiere. Da venti anni non si governa senza i magi­strati. Berlusconi, e la sua intuizione del 1994, devo­no la loro fortuna politica proprio alla rivoluzione giudiziaria (favoloso esempio di eterogenesi dei fini). Il bipartitismo non nasce con Segni, ma con Mani pulite, di cui Ber­lu­sconi diventa primo be­neficiario. Cosa resta dunque nel­l­’ipotesi di un dopo Berlu­sconi per via giudiziaria? Nulla, semplicemente nulla. Ci sarebbe un im­mediato sollievo da parte di coloro che legittima­mente ambiscono a can­cellare un sistema di pote­re che li ha esclusi fino ad oggi. Ma poi il treno del no­stro infelice bipartitismo ripartirebbe. Come si può immaginare che coloro che sono riusciti finalmen­te a sconfiggere il berlu­sconismo possano ritrarsi nelle loro posizioni e ri­prendere, che so, ad occu­parsi di scippi e delin­quenza comune? Come si può immaginare che il de­stino ultimo della nuova politica non venga sotto­messo al vigore rivoluzio­nario di un potere che ha dimostrato di essere vin­cente e incontrollabile? Chi pensa che Ruby e Spatuzza siano il veleno con il quale Berlusconi è intossicato sbaglia. Berlu­sconi, con i suoi vizi, con i suoi errori, ha capito per primo (forse perché per primo ne ha indirettamen­te beneficiato) che il pote­re di questo paese (nella politica come nell’econo­mia) non si esercita nei pa­lazzi romani, ma nelle se­zioni tribunalizie.

Berlusconi distrutto da un magistrato sarebbe un disastro per il futuro di questo paese. Berlusconi sconfitto in una contesa elettorale sarebbe fisiolo­gico. Chi punta alla prima soluzione è un folle e de­stinato a essere vittima della propria insana ambi­zione.

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