Il magistrato «martire» idolo dei giustizialisti

RIBALTA Improvvisamente ha raggiunto promozioni e celebrità. Un’auto blu per difendere la sua privacy

È giusto mettere alla gogna un giudice che ha fatto solo il proprio lavoro? No, certo. E sugli altari? Tanto meno.
Di fronte a un giudice della Repubblica, nel senso dello Stato italiano, che ha fatto soltanto il proprio lavoro e improvvisamente, dopo una vita da Mesiano, è stato istericamente innalzato alla venerazione nazional-popolare, non staremo a scomodare ancora una volta lo scrittore-operaio Bertolt Brecht e la celebre citazione «Fortunato quel Paese che non ha bisogno di eroi». Vorremmo solo che nel nostro sfortunato Paese non ci fosse bisogno di santi laici. Bastano, e avanzano, come exempla teologali, morali e civili, quelli proclamati da Santa Romana Chiesa.
Elevato improvvisamente da un lungo e burocrate anonimato a una fulminea e miracolosa celebrità a causa della sovraesposizione mediatica procuratagli dall’esosa sentenza sul Lodo Mondadori, Raimondo Carmelo Mesiano, reggino, cinquantasette anni e in magistratura da trenta, una vita passata nelle silenziose aule di giustizia milanesi e su tutti i giornali da una settimana, è stato - suo malgrado, temiamo - proclamo santo da una folla osannate che, pur ignorandolo completamente fino a ieri, oggi gli riconosce unanimemente le stigmate oltre che delle virtù togali, anche di quelle cardinali: la Prudenza, la Fortezza, la Temperanza e il Giustizialismo.
Dai processi civili a quelli canonici. Nel giro di una settimana santa, il giudice Raimondo Mesiano è passato dal «pestaggio mediatico» eseguito dalle telecamere «fasciste» di Mattino 5 alla beatificazione laica postulata dai sacerdoti del progressismo democratico: prima la canonizzazione pubblica, con promozione al massimo grado raggiungibile da un magistrato nella sua carriera e aumento di stipendio annesso, voluta dal Consiglio superiore della magistratura (provvedimento motivato da «indipendenza, imparzialità ed equilibrio» e da «capacità, laboriosità, diligenza e impegno dimostrati» nell’esercizio delle sue funzioni) e arrivata, per «casualità terribile della storia», appena qualche giorno dopo la nota sentenza; poi una auto blu messagli a disposizione dalla Corte d’appello di Milano per difenderlo dall’assalto di cronisti, fotografi e fan devoti; infine, ieri, l’approvazione all’unanimità, da parte del Csm, di una pratica di tutela nei suoi confronti per difenderlo dalle inopinate critiche del Premier e del centrodestra. Dai verbali al martirologio.
Uomo in toga e magistrato in aureola, Raimondo Carmelo Mesiano - giudice imparziale che brinda al bar per le vittorie di Prodi, appassionato di studi filosofici su Marx e della Coca Cola, poliglotta, populista e amico di vecchia data del celebre pool già santificato in illo tempore - per uno di quegli stravaganti fenomeni di isteria collettiva di ispirazione democratico-progressista, in una solenne processione mediatica è stato canonizzato solennemente dal Csm, dalla Fnsi, dall’Anm, dall’intero arco politico e giornalistico dell’opposizione (più qualche franco tiratore) e dalla grande chiesa telematica che da un paio di giorni, attraverso decine di blog, recita un nuovo credo laico che inizia con il salmo: «Siamo tutti Raimondo Mesiano».
Intanto il leader del Pd Dario Franceschini su Twitter invita tutti i fedeli «a indossare calzini turchesi», diventati ormai un simbolo della resistenza a Silvio Berlusconi e alle sue televisioni, mentre dalle «colonne infami» del Fatto Quotidiano Marco Travaglio&Co. hanno chiesto ai loro adepti di inviare un messaggio pro-Mesiano riempiendo, ieri, due pagine con le fotografie di neonati, teenager, mamme, studenti, disoccupati, professionisti e pensionati tutti con i calzini azzurri: grotteschi ex voto post-moderni da dedicare a un benevolo Giudice protettore. Per l’immediato futuro si attende - ed è recente l’exemplum del magistrato-martire Luigi De Magistris - che Antonio Di Pietro lo innalzi agli onori degli scranni (euro)parlamentari. Gloria in excelsis reo.
Il santo, insegnano un paio di millenni di teologia e storia dell’arte, è colui che si è distinto in vita per l’esercizio delle virtù cristiane - tra le quali c’è anche la giustizia - e lo si riconosce perché è circondato da un’aureola: un cerchio di luce che ne avvolge la figura, facendolo brillare così che sia di luminoso esempio all’orante popolo dei fedeli.

I quali, però, da altrettanti millenni, sanno bene che i santi&beati, nonostante le invocazioni «Santo subito», si fanno in cielo. Sulla terra, grazie a Dio, siamo tutti uomini. La maggior parte peccatori, qualcuno - sia fatta di necessità virtù - giudice.

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