L'ex procuratore capo di Palermo Giancarlo Caselli prova a "salvare" il suo soldato ex pm Roberto Scarpinato (oggi senatore M5s) allontanando il calice amaro del rapporto mafia-appalti dei Ros - da lui e Guido Lo Forte frettolosamente archiviato - come movente della morte del giudice Paolo Borsellino ma per farlo inciampa in "molte inesattezze" come sottolinea Maurizio Gasparri di Forza Italia e non riesce nell'impresa di negare che i primi nemici del giudice morto in Via d'Amelio e di Giovanni Falcone fossero nel "covo di vipere" della Procura di Palermo.
"Sono assolutamente convinto che la chiave di lettura dietro alla strage di via d'Amelio sia il discorso di Casa Professa del 25 giugno 1992, quando Borsellino accusò i suoi colleghi di aver ostacolato il collega morto da poco. Più ci penso, più me ne convinco", dice Caselli, non certo il rapporto dei Ros firmato da Mario Mori. "Agnese Borsellino di mafia-appalti non parla mai, il suo silenzio non è cosa di poco conto perché Borsellino a lei confidava i segreti più delicati e scabrosi", ricorda l'ex procuratore capo in audizione. E alla presidente Chiara Colosimo che lo incalza sull'espressione di Borsellino "nido di vipere": "I rapporti del procuratore Pietro Giammanco (scelto dal Csm su pressing delle toghe legate al Pci, ndr) prima con Falcone e poi con Borsellino erano tutt'altro che normali, erano punitivi nei confronti di Falcone costretto a emigrare a Roma al ministero".
Caselli ha raccontato alla commissione che Giammanco "faceva fare ore di anticamera a Falcone davanti al suo ufficio in un corridoio frequentato da tutti perché tutti vedessero che non meritava di essere ricevuto subito. Questa è una tagliata di faccia in Sicilia, figuriamoci in procura. E Falcone alla fine se ne va perché non può più lavorare lì e l'antimafia la vuole continuare, ma al ministero è come se continuasse facendo il monitoraggio sulle sentenze". È quello che dirà Borsellino a Casa Professa: "Falcone era a un passo dalla nomina alla Direzione nazionale antimafia" che Anm e Csm gli negarono dopo avergli negato Palermo: "Falcone in questa sua breve, brevissima esperienza ministeriale lavorò soprattutto per potere al più presto tornare a fare il magistrato. Ed è questo che gli è stato impedito, perché è questo che faceva paura", disse allora Borsellino.
Veleni e vipere in procura, all'Anm e al Csm. Colleghi che insabbiano documenti importanti quando i due magistrati sono ormai morti. Ufficiali dei carabinieri che finiscono da innocenti nel tritacarne giudiziario. Ma per Caselli i suoi ex colleghi magistrati sono da salvare tutti: "A volte sembrano riemergere vecchie pulsioni ostili contro la procura da me diretta - ha sottolineato - colpendone alcuni magistrati simbolo in prima linea nell'indagine sulle strategie delle stragi dei corleonesi". Insomma, tutti colpevoli e nessun colpevole.
Ma è davvero così? "Caselli non ha detto la verità sul Ros, sui carabinieri, su Mori e sulla mancata perquisizione del covo di Totò Riina perché fu concordata con la Procura guidata da lui", ribadisce il capogruppo azzurro al Senato Gasparri, citando le sentenze in cui verrebbe sbugiardato Caselli, a partire dalla menzogna che Borsellino fosse stato informato della parziale archiviazione dell'inchiesta mafia-appalti, una colpa gravissima, un errore che ha depotenziato quella fondamentale indagine. Non è vero, viene smentita dalle testimonianze di due pm presso il Csm, in anni successivi alla strage di via D'Amelio. Pertanto, la vicenda mafia-appalti pesa in questa strage", conclude Gasparri.
Lo dimostra il fatto che - come rivelato dal Giornale - il 18 luglio il magistrato si recò nell'archivio a prelevare carteggi relativi a personaggi che erano al centro dell'indagine mafia-appalti condotta dal Ros. Ma a proposito dei rapporti tra magistrati, c'è una staffilata che Caselli riserva ai colleghi di Caltanissetta come Antonino Di Matteo, che si bevvero le panzane del finto pentito Vincenzo Scarantino, colui che ha avvelenato i pozzi della verità su Via d'Amelio. "Di Scarantino non so niente. Se non che la procura di Palermo non l'ha mai usato. Quando i colleghi andarono a sentirlo, in particolare Alfonso Sabella, subito avvertirono che fosse un bluff e quindi Palermo non l'ha mai usato. Quello che riguarda Scarantino riguarda soltanto Caltanissetta, non Palermo", ha voluto precisare l'ex procuratore di Palermo.