Dalla maglia azzurra al tricolore Continua la festa

Rossi o rossa, comunque viva l’Italia. Cambiando l’ordine dei fattori non è cambiato il prodotto, cioè il risultato. Chissà dove si trovava ieri all’ora dello spaghetto monsieur Zidane. Probabilmente gli deve essere andata di traverso l’insalata nizzarda vedendo Marco Materazzi a bordo di una Yamaha a festeggiare una vittoria da trecento all’ora sul circuito di Sachsenring. Quando l’ex campione del mondo si è ripreso gli devono aver servito un Pernod ma la situazione è precipitata perché in terra di Francia, pista di Magny Cours, c’erano un tedesco e un brasiliano, piloti di formula 1, eccitatissimi a sventolare il tricolore italiano, dopo il successo della Ferrari sulla francesina Renault. E tutti a cantare, a Sachsenring e a Magny Cours, non soltanto Mameli ma il duo americano White Stripes e il loro Popopopopopò (Seven Nation Army, il titolo del brano per chi volesse correre ad acquistarlo), nuovo inno celebrativo di qualunque trionfo azzurro, cioè nostrano. Roba bella, roba grossa di questa domenica di luglio che di colpo ci ha restituito il gusto di quella festa del nove luglio, data e momento che sembravano già lontani, distanti una vita, perché il tempo, questo tempo moderno, logora, brucia, straccia ogni memoria, anche quelle forti, con i gas tossici quotidiani, lo scandalo del football e i guai del sette e quaranta fiscale.
Valentino Rossi e la Ferrari, dunque, separati in pista, dopo il flirt forzato e pubblicitario dello scorso inverno, un amore «svampato», ma di nuovo protagonisti in contemporanea, risalendo posizioni e classifica, regalando la goduria di un sorpasso, senza il pericolo nascosto dell’autovelox che perseguita le partenze intelligenti e non. Travolgente il finale ai rigori tra Rossi e Melandri, una curva, una staccata, un colpo d’ala, una sfiammata, roba da sbandare anche in tinello, per la canicola e le zigzagate televisive, con la voce inquietante di Guido Meda, il Galeazzi del motociclismo, a spingerci verso il condizionatore. Più regolare, imperiale quasi, la corsa di Schumacher che ha voluto mettere il muso rosso davanti al musino au chocolat dei francesi che ieri non hanno potuto reagire con una testata, altrimenti l’avrebbero bruciata. In verità un francese felice ieri pomeriggio è stato segnalato: Jean Todt, dicono, che ogni tanto riappare in pole position.
Domenica piena di calore per Marco Materazzi e la sua orchestra, un mese così non poteva immaginarlo nemmeno nella play station: ha vinto il titolo mondiale, è stato il capocannoniere azzurro, ha segnato di testa e di piede (rigore), ha mandato in tilt l’icona della banlieu, lo Zizou di cui sopra, ha cantato al circo Massimo davanti a un milione di persone, ha visto Valentino Rossi indossare in diretta via satellite la sua maglia numero 23, cifra che è la metà esatta del 46 esclusiva del campione di Urbino.
Altre novità, si potrebbe dire? Forse, prossimamente. Se continua così la vita può essere anche bella, nonostante tutto. Ieri, Valentino e la Ferrari hanno provveduto alla bisogna, con colpi di classe che hanno fatto il giro del mondo. Mai vista tanta Italia, dico delle bandiere bianche rosse e verdi, in pista e in tribuna, in strada e sui taxi, anche quelli in sciopero. Messaggio buono, da spedire a quelli che dicono di fregarsene e poi salgono sul carro.
Da oggi si torna in fabbrica, mettendo la maschera per evitare la nube tossica del processo calcistico.

Prepariamoci al grande gioco dell’estate, il sudoku del pallone, voglio dire il calendario di serie A e di serie B, chi metterà al posto giusto i nomi delle partecipanti potrà indossare la maglia di Zidane e incominciare a dare testate al muro. Popopopopopò.

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