«Mai più in cella» e si spara nel parco

L'idea di essere obbligato a tornare in carcere, dopo che la Cassazione aveva reso eseguibile l'ennesimo ordine di custodia cautelare emesso nei suoi confronti dalla Procura di Palermo, gli è apparsa insopportabile. Tanto insopportabile da decidere di farla finita. Un colpo alla tempia, secco, nel silenzio del parco di un istituto religioso. E in tasca un biglietto di scuse ai familiari, per spiegare che no, in carcere non poteva proprio tornare. Si è chiusa così, la notte scorsa, a Messina, la parabola di Michelangelo Alfano, 65 anni, l'imprenditore ex presidente del Messina calcio originario di Bagheria (Palermo) pluriindagato per collusioni mafiose, ritenuto dagli inquirenti un «fedelissimo» di Bernardo Provenzano e trait d'union tra le cosche mafiose palermitane e quelle messinesi. Sulla vicenda è stata aperta un'inchiesta. Ma non ci sono dubbi sul fatto che Alfano si sia suicidato.

Lo provano la posizione dell'arma, una pistola calibro 6,35, trovata a fianco del cadavere dell'imprenditore. E il biglietto indirizzato ai familiari. Lui, che aveva anche conosciuto il 41 bis, in carcere non voleva tornare. Di qui la depressione. E il suicidio.

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