«Mai con Prodi»: parola di Harry Potter

La certezza di Follini: «Non farò mai la stampella al governo»

da Roma

Marco Follini, l’uomo del possumus al governo Prodi, è un vecchista. L’opposto del nuovismo berlusconiano. L’aveva confidato un anno fa a un cronista di Oggi: «Ahimé, sono uno di vecchio stampo». Era un giovane moroteo, Marcolino. Una carriera fulminate: «Mi iscrivo giovanissimo alla direzione del movimento giovanile». Lo reggerà dal 1977 al 1980. A suo modo è coerente. L’aveva detto nell’ottobre 2004: «Sono iscritto al partito della “mano tesa” fin da quando avevo i pantaloncini corti». Vabbé. Ieri ad Aldo Cazzullo ha raccontato del centrosinistra anni Sessanta e di Moro, «di un centrosinistra che non conteneva tutta la sinistra». A differenza di questo, ma non l’ha detto. Una memoria quasi perfetta. Ma Follini è un vecchista. Come tutti i custodi della senectute, politicamente parlando, si tiene stretti i ricordi del passato remoto e, come Harry Potter ogni volta che pensando a Voldemort sviene a terra nel castello di Hogwarts, soffre di amnesie per ciò che sosteneva fino a qualche mese fa. Qualcosa lo riepiloghiamo qui di seguito.
Col centrosinistra? Mai. Ieri Follini ha detto: «Mi propongo di partecipare, se ci riesco, alla costruzione di un nuovo centrosinistra». Ma in una letterina di risposta a Michele Salvati, datata aprile 2005, scriveva: «Ho fatto mio lo schema del bipolarismo e dell’alternanza», quindi «alla peggio andrò a casa. A sinistra no». Dopo le dimissioni da segretario dell’Udc nell’ottobre 2005 certifica: «Prosegue il mio impegno politico nel centrodestra. Non mollo, non attraverso la porta della Margherita. E non tifo per Prodi, come ha scritto qualche giornale». Malelingue. Risponde a Stefano Brusadelli su Panorama, marzo 2006: «Le hanno mai proposto di passare nel centrosinistra?». «Nessuno me l’ha offerto perché tutti sapevano che non sarei passato» e perché «mi auguro che il centrodestra vinca». All’indomani del voto, il 12 aprile 2006: «Escludo qualunque operazione di trasformismo». Sei giorni dopo: «Nessuno di noi, nemmeno quelli più vicini alla linea di confine, farà da stampella a una maggioranza che traballa». Passano due giorni: «Sia chiaro: non farò la stampella a un governo che dovesse zoppicare». Letterina alla Stampa, luglio 2006, dopo un pranzo con Prodi: «Io all’opposizione ci resto» e «su tutto questo non c’è nessun equivoco». Be’, qualcuno sì, forse... Sempre a luglio, all’Unità: «La mia destinazione non è il centrosinistra». O meglio: «Ci sto solo se cambia maggioranza». Chiaro? Agosto 2006, alla festa margheritina di Caorle Pierluigi Castagnetti lo lusinga: «Noi mica ti consideriamo un avversario». E lui, secco: «Lo sono, lo sono...». A novembre la sinistra scende in piazza con San Precario contro la Finanziaria, e Follini non se la tiene: «Contesto il governo di piazza e di palazzo». Rispuntano le voci di un suo passaggio di campo ed è perentorio, quasi violento: «Ma che stiamo scherzando?». Però concede: «Serve un altro centrosinistra», ma la sinistra moderata «si deve liberare dalla morsa dell’antagonismo». Il resto è cronaca delle ultime ore. Il suo ex sodale di Formiche, il «volenteroso» Paolo Messa, non usa giri di parole: «Pensavo che agisse con maggiore decenza». Carlo Puca, coautore del folliniano Uno contro tutti, è più politico: «Potrà sempre dire al Vaticano che ha affossato i Dico».
Prodi? Guida di cartapesta. Adesso Prodi va bene. Ma nel marzo 2004 Follini lo accusa: «Strizza l’occhio ai no global». Sul Messaggero lo definisce «una guida di cartapesta (...). Sta sui manifesti quando le cose sembrano andare bene, si eclissa quando si fanno più difficili». A ottobre il tono non cambia: Prodi «ha rinunciato ad esercitare la leadership». Nel marzo 2005: «Con Prodi abbiamo idee diverse e continueremo ad averne». E poi nel centrosinistra «esistono due, forse tre linee di politica estera» e c’è Bertinotti che «vuole abolire la proprietà privata». Conferma a Repubblica: Prodi è «prigioniero di uno schema caricaturale del bipolarismo». Il Partito democratico? Con Mario Sechi, gennaio 2006, è chiarissimo: «Non vedo come possa riuscire l’amalgama di due culture politiche che si sono lungamente avversate». Chissà se risolverà lui il rebus posto nel febbraio 2005: «Prodi deve rispondere a un quesito fondamentale: come fa a guidare una coalizione che non ha un’idea comune sulla politica internazionale?». Chissà.
Un centrodestra (un po’ troppo) diverso. «Cambiare il centrodestra» è l’ossessione folliniana. Così spiega il suo sogno a Marco Damilano: «Dare vita a un centrodestra europeo, moderato, canonico». E ancora: «Resto un militante del centrodestra nonostante Berlusconi».

Nel marzo 2006 insiste: «Immagino un futuro in cui il centrodestra sia più centro e il centrosinistra più sinistra». Lo scorso dicembre è immaginifico: «Occorre rompere il recinto che tiene il centrodestra chiuso in se stesso». Forse forse, ha esagerato.

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