«Le opinioni di un uomo su un altro, specie di un critico,
non sono mai obiettive;
e perciò non mi interessano».
Curzio Malaparte, luglio 1955
A cinquantanni dalla morte di Curzio Malaparte la prima domanda che viene spontanea è: quale sarebbe, oggi, la posizione politica di un uomo passato dal Partito repubblicano al fascismo, allantifascismo, di nuovo al fascismo, poi al filocomunismo e allanticomunismo e che morì conteso fra comunisti e cattolici (Togliatti in persona gli consegnò la tessera del Pci, che però Malaparte avrebbe stracciato dopo unimprovvisa conversione)? Forse la conversione non ci fu, o forse di tessere del Pci ne aveva due, perché una lho vista con i miei occhi molti anni dopo, in mano alla sorella Maria. Malaparte era un uomo non inquadrabile, e dunque è difficile immaginarlo, ai giorni nostri, in uno dei due schieramenti: che a lui - uomo di eccessi e di provocazioni - sembrerebbero senzaltro troppo simili lun laltro per essere interessanti.
Vissuto e morto con la fama di voltagabbana, scrisse, in Deux chapeaux de paille dItalie, del 48: «Il solo, il vero programma di ogni italiano è di essere in buoni rapporti con il partito al potere». Una frase che molti ancora oggi considerano appropriatissima allautore. Se non che egli ebbe una condanna a cinque anni di confino durante il regime fascista, si avvicinò per la prima volta al Pci a guerra non ancora conclusa e passò il resto della vita a polemizzare con la Dc al potere. Il fatto è che Malaparte disprezzava le ideologie, ma amava le rivoluzioni. Si staccò prima dal fascismo, poi dal comunismo, quando si accorse che non avrebbero compiuto rivoluzione alcuna. E scese a compromessi con entrambi perché riteneva che la propria libertà, il suo bene più prezioso, e la propria scrittura, valessero più del martirio pro o contro unideologia. Il crollo delle ideologie e la difesa delle libertà individuali, che è alla base delle più moderne democrazie liberali, fanno di lui un precursore, piuttosto che un voltagabbana: come sostenevo in un libro (LArcitaliano) che ha ormai 26 anni e che non è ancora stato smentito.
Lo scrittore pratese è stato precursore anche come «narratore dintervento» e «letterato di massa». Il suo impegno costante fu spiegare a un pubblico il più vasto possibile i grandi fatti del secolo, con una didattica sociopolitica oggi molto più comune di allora e di enorme acutezza. Basti pensare a come intuì e scrisse, con decenni di anticipo, che la rotta di Caporetto era stata, in realtà, anche una rivolta dei soldati italiani alla condotta militare e politica della Prima guerra mondiale, tesi ormai storicamente accreditata. O come denunciò, subito dopo la Seconda guerra mondiale, il degenerare dellantifascismo in una fede religiosa uguale e contraria al fascismo, risultato al quale gli storici - De Felice per primo - sarebbero arrivati almeno tre decenni dopo.
Il suo spaziare in ogni genere di attività - cinema, teatro, giornalismo, varietà -, il suo volere a ogni costo essere un personaggio, sono fenomeni oggi comuni, quasi banali. Il Malaparte mondanissimo, che curava come una signora la propria bellezza, che viveva da single e passava da una donna allaltra, oggi non susciterebbe lo scandalo che suscitò nella sua epoca piccolo-borghese e conservatrice. Nel 55 annunciò anche un progetto che la malattia e la morte gli avrebbero impedito di realizzare ma che anticipava di molto sia lecologismo sia il concetto attuale di sponsorizzazione: annunciò che avrebbe attraversato gli Stati Uniti in bicicletta per «protestare contro leccessiva meccanizzazione della vita moderna» e propagandare un ritorno alla natura; contando di farsi pagare le spese dalla Coca-Cola, annunciò che durante limpresa ne avrebbe bevute duemila bottiglie.
Sarebbe lunga lelencazione completa di Malaparte precursore, ma è il caso di ricordare almeno che, giovanissimo direttore della Stampa, alla fine degli anni Venti varò il giornalismo dinchiesta; e che, sul finire della vita, fu tra i primi a «scoprire» e visitare la Cina maoista, riportandone unimpressione benevola, dovuta a come gli era stato diagnosticato e curato il cancro che lavrebbe ucciso, più che a una vera simpatia politica.
«Arcitaliano», ovvero esemplare ipertrofico dei vizi e delle virtù nazionali. Nato Suckert, da padre tedesco, anche per questo Malaparte si sforzò - riuscendoci - di essere più italiano degli italiani. Nellagosto del 1953 spiegò al giovane scrittore Nantas Salvalaggio certi aspetti negativi del proprio carattere dovuti a «quel mio puritanismo nordico, protestante, che è sempre stata la forza, e la debolezza estrema, della mia vita, che mi ha fatto sbagliar tutto, tutti i miei atteggiamenti privati e pubblici, poiché, quando si ha il complesso nordico protestante puritano, e si appartiene a un paese latino, e bracalone, e facile in fatto di scrupoli etc. si sbaglia tutto, e si crede di fare un elogio, ed è un insulto, di essere furbi, e si è stupidi e ingenui etc. etc.». Educato - come Gabriele dAnnunzio - al collegio Cicognini di Prato, a una vita ordinata e impeccabile, gli fece comodo credere che gli italiani si comportino sempre in modo anarchico e diventare un arcitaliano inaccettabile al giudizio degli stessi italiani. Una volta disse allamico Armando Meoni: «Mhanno creato questa fama davventuriero. Che motivo ci sarebbe di non profittarne? Tutte le sere, prima di coricarmi, su questa fama ci fo pipì, che la mattina possa ritrovarla più rigogliosa».
Ma una verità più cruda, e che non gli è stata mai perdonata, la disse in unintervista al Tempo del luglio 1955: «Penso che se fossi vissuto in una società più virile e in mezzo a un popolo più virile sarei forse potuto diventare un uomo nel vero significato della parola. Ma se dovessi definirmi con una sola parola direi che, nonostante tutto, sono un uomo».
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