Il malessere dei colonnelli per l’apertura ai «traditori»

RomaTutti felici e contenti. Anzi no. Silvio Berlusconi tende la mano ai finiani tra sorrisi in qualche caso un po’ stiracchiati dei suoi colonnelli. L’apertura ai «futuristi», la disponibilità a un patto di legislatura, la presa d’atto da parte del premier dell’«esistenza di una diversa offerta politica nell’ambito del centrodestra», ammissione a suo modo rivoluzionaria, rappresentano un’apertura di credito alle colombe - guidati dall’olimpico Gianni Letta e dai ministri Frattini, Fitto e Gelmini - ma tarpano le ali ai falchi del Pdl. Quelli che, per intenderci, vedono come il fumo negli occhi gli ex compagni di partito di Alleanza Nazionale. A taccuini chiusi, a registratori spenti, più di uno mugugna per una mano tesa a quelli che continua a considerare traditori. E il seguito della giornata sembra dare in qualche modo ragione agli scontenti. Perché la porta aperta si richiude bruscamente quando Fini parla di un discorso, quello di Berlusconi, «deludente e tardivo». E le carte si rimescolano.
Così quelli che erano sembrati uscire con la coda tra le gambe nel giorno dell’auspicato appeasement tra il Pdl e i suoi transfughi ritrovano la voce. Primo tra tutti il ministro della Difesa Ignazio La Russa, colonnello del Pdl, che pure nel giorno delle mani tese dal palco di santo Spirito in Sassia trova modo di mandare un messaggio tutt’altro che indecifrabile ai carissimi nemici di Futuro e Libertà: «I transfughi? Sono cose che accadono quando c’è una scissione in un partito. Anche in passato, in altri partiti, è successo che qualcuno si facesse tentare da avventure politiche, salvo poi pentirsene. Comunque lasciate che ciascuno vada dove vuole. Noi non preghiamo nessuno di rimanere. Stare nel Pdl deve essere un onore, e se qualcuno non se la sente, esca pure». A costo di andare allo showdown. «Non abbiamo paura del confronto alle elezioni», il monito del coordinatore nazionale del Pdl. Sulla stessa lunghezza d’onda l’altro colonnello ex An, il capogruppo Pdl al Senato Maurizio Gasparri, le cui parole tradiscono una certa freddezza rispetto all’ipotesi di continuare a condividere lo stesso tetto governativo con Fini e compagni: «Mi auguro ci sia coesione. Ma se la maggioranza non c’è, l’unica alternativa è il ricorso alle urne», le parole di Gasparri al termine dei lavori della direzione nazionale del partito. E anche il terzo falco ex An, il sindaco di Roma Gianni Alemanno, continua a non fidarsi: «Se quelli di Fli hanno deciso di staccare la spina al governo lo facciano e se ne assumano la responsabilità», borbotta Alemanno riferendosi alle parole di Bocchino.
Polveri bagnate invece per Denis Verdini, un altro che non ha mai fatto sconti ai «futuristi» ma che nelle ore precedenti la direzione nazionale del Pdl era stato tra i fautori di un possibile incontro tra Fini e Berlusconi. Si spiega così l’insolita bonarietà del coordinatore nazionale toscano: «I nostri avversari sono all’esterno - concede dal palco romano -: dentro il Pdl nella maggioranza non ce ne sono. Ci possono essere voci e opinioni diverse. Abbiamo ricevuto critiche pesanti, anche da dentro il partito che non ci hanno permesso di vedere quello che è accaduto in Parlamento.

Il richiamo di Berlusconi è alla coesione e non ci si può esimere. Mettiamoci intorno ad un tavolo e superiamo le divisioni. Facciamo un passo indietro dall’individualismo, siamo una squadra». Una squadra evidentemente con qualche problema di formazione.

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