Un gol a sangue freddo di Marchisio avrebbe potuto far esplodere anche un Marakana superpresidiato, ma non è stato così, ordine dentro e fuori, anche perché un gruppo di artisti del caos, tutti italiani, sono stati fermati alla frontiera con la Croazia. Non avevano i biglietti e neppure thermos e panini, la polizia croata ha capito subito che non erano in gita a Belgrado e li ha respinti, peraltro tutta gente segnalata, nota e attesa. Si temeva potessero aver recuperato i tagliandi grazie ai Delije della Stella Rossa, ma non ha funzionato neppure questo, rimbalzati prima che avvenisse lo scambio. Attorno al Marakana, ridotto della metà della sua capienza ma non certo per questa gara di qualificazione europea, c’erano ufficialmente 1.400 agenti schierati in assetto antisommossa, alle 18,30 cancelli aperti, atmosfera tranquilla, le due Federazioni avevano deciso di non riservare il 5 per cento dei biglietti normalmente destinato alla tifoseria ospite. Ammessi solo tifosi di rigida nazionalità serba, così come stabilito congiuntamente da Roberto Massucci, dirigente del Dipartimento della Pubblica sicurezza della Polizia di Stato, e l’omologo serbo, generale Malden Kuribak. Massucci era comunque pronto a far entrare eventuali tifosi italiani in possesso di tagliando e di un minimo di autocontrollo. Famiglie, anche bambini, ma niente a che fare con Marassi un anno fa, quando la partita di andata venne sospesa dopo sei minuti mentre Ivan Bogdanov a cavalcioni andava di cesoie. Gli hanno dato tre anni. Dentro lui, neutralizzata la trentina di ultras, la partita ha vissuto sui normali canoni di un perfetto spettacolo calcistico: vergognosi fischi all’inno italiano, laser puntato agli occhi di Pirlo in occasione di calci piazzati, altri fischi a ogni decisione contro del portoghese Pedro Proenca. I fischi non sono stati una sorpresa, l’inno di Mameli se li era presi anche nel recente incontro fra le due nazionali agli Europei di pallavolo in Austria. Gli azzurri comunque impassibili sono anche riusciti a cantare sulle note di un inno che proprio non si riusciva a riconoscere tanto era storpiato.
Il resto è stata una partita normale, dove l’Italia non aveva molto da chiedere in quanto già qualificata alla fase finale dell’Europeo, più importante per Dejan Stankovic e compagni che cercavano il punto che consentiva di staccare il biglietto. La tensione non era però tanto calcistica quanto di ordine pubblico, con una tifoseria serba che è più un movimento nazionalista che una curva da stadio.
La promessa dei capi ultrà comunque è stata mantenuta, la Serbia ha tentato di dare di sé un’immagine mansueta, lasciando che per una notte se ne abbia una nuova idea pacifica. Tutti quegli agenti erano una provocazione ma allo stesso tempo una garanzia.
Scontri invece si sono registrati ad Atene durante Grecia-Croazia, subito sospesa dopo tre minuti di gioco quando un centinaio di persone con caschi che gli coprivano il volto sono entrate nelle gradinate attaccando i tifosi ospiti con razzi e molotov. Pronta risposta dei tifosi croati che hanno divelto i seggiolini dello stadio e li hanno scaraventati contro chiunque si avvicinasse. La polizia greca li ha ridotti alla calma inalando spray al peperoncino, ma c’erano stati scontri violenti fin dal loro arrivo nel porto del Pireo.
Intanto a Belgrado la partita stava finendo su ritmi compiacenti, Gianluigi Buffon artefice del pari con una serie di interventi spettacolari, uno fondamentale su punizione di Kolarov che lo ha costretto a spalmarsi sul palo di destra della sua porta. Il suo omologo Vladimir Stojkovic era rifugiato nel suo appartamento di Belgrado, al sicuro.
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