Manifesto Futurista Italia batte Francia 7-1

Il proclama uscì su «Le Figaro» il 20 febbraio del 1909. Ma prima apparve più volte sui giornali di Bologna, Napoli, Mantova, Verona, Trieste. E persino in Romania

Il famoso Argan, ovvero L’Arte moderna 1770-1970, su cui generazioni di liceali hanno studiato la storia dell’arte, dedica al Futurismo sei pagine sulle settecentosettanta del volume. Nell’indice, tra le centinaia di voci (quali l’Art Nouveau, i Nabis, l’Espressionismo, il Blaue Reiter, l’Avanguardia russa, Dada, il Surrealismo, la Metafisica, Novecento, l’Ecole de Paris ecc.) quella sul Futurismo non c’è nemmeno, e per trovarla dobbiamo cercare all’interno della voce «Pittura e Scultura», paragrafo del capitolo sesto, L’epoca del funzionalismo. E per fortuna che il testo relativo al futurismo inizia così: «Il Futurismo italiano è stato il primo movimento d’avanguardia». Forse, data l’affermazione, un po’ di spazio in più non sarebbe nuociuto.
Ma quello dell’Argan è solo un esempio nel mare magnum del masochismo storiografico della critica italiana del secondo dopoguerra, in merito al Futurismo. Il teorema era che i futuristi erano tutti fascisti, quindi non valeva parlarne. Su questo argomento, e su queste pagine, ho già scritto nel febbraio del 2004, ponendo in luce la polifonia ideologica nelle file del Futurismo, che vedeva anche molti comunisti, socialisti ed anarchici. Ma tant’è: questo atteggiamento ha prodotto alla lunga guasti che solo ora si cominciano a capire nella loro ampiezza. Vedi i moltissimi capolavori di Boccioni, Balla, Carrà, Severini e Russolo, che se ne sono andati all’estero mentre noi eravamo intenti alle scomuniche. Così anche la storiografia per anni ne ha risentito, e ci si salvava proprio per quell’afflato francese, quel vezzo tutto marinettiano di lanciare il manifesto proprio a Parigi, nel cuore e nel gotha dell’arte. Si diceva che fu per cautelarsi, ché, altrimenti, se avesse pubblicato il manifesto prima in Italia, Oltralpe se ne sarebbero appropriati facendolo loro: Le Futurisme. Sentite com’è più chic, e meno fasciste! E via di questo passo, in tutti i libri di storia dell’arte, ma anche in quelli dedicati solo al Futurismo, e poi nei saggi che introducono i cataloghi di mostre sul Futurismo, si legge che il Futurismo fu lanciato a Parigi con un manifesto pubblicato su Le Figaro il 20 febbraio 1909. Voila! Sdoganati dai francesi.
Purtroppo però, quest’affermazione categorica non è esatta. E in vista del centenario del Futurismo credo sarebbe ora di pensare in che giorno, esattamente, dovrà essere stappata la bottiglia di spumante italiano per celebrare la ricorrenza. Non è sciovinismo. Festeggiare con champagne sarebbe un’offesa a Marinetti che voleva risollevare le sorti dell’Italietta di allora, rivalutandone artisti, poeti, prodotti e capitani d’industria.
E dunque, come ci conferma la dottissima bibliografia di Filippo Tommaso Marinetti a cura di Domenico Cammarota (che evidentemente nessuno ha consultato), quella di Parigi non è la prima pubblicazione del manifesto, ma (per quanto ne sappiamo a tutt’oggi) la decima, comprendendo due volantini con varianti di testo e pochissima diffusione. Limitandoci alla stampa periodica, quella che va definita come editio princeps uscì sulla Gazzetta dell’Emilia, a Bologna, il 5 febbraio 1909 (quindi ben quindici giorni prima), seguita a ruota da Il Pungolo di Napoli, il 6 febbraio, dalla Gazzetta di Mantova il 9 febbraio, e quindi dall’Arena di Verona il 9-10 febbraio, dal Piccolo di Trieste del 10 febbraio, e ancora a Napoli sia sul numero 6 della Tavola rotonda del 14 febbraio, sia sul Giorno del 16 febbraio. Inoltre, e paradossalmente, prima ancora che a Parigi, il manifesto uscì persino in Romania, su Democratia, pubblicata a Craiova il 16 febbraio 1909.
A questo punto, credo che se si vorrà degnamente ricordare un movimento che ha rinnovato tutta l’arte moderna, non solo quella italiana, e al quale gran parte delle avanguardie del ’900 sono debitrici, bisognerà riscrivere la storia dei suoi esordi.

Come ci suggerisce questa sequenza di date di pubblicazione, Marinetti aveva un preciso disegno, una chiara idea di come si dovesse far penetrare in Italia e all’estero l’idea del Futurismo, e certamente ulteriori e approfondite ricerche negli archivi dei giornali italiani e stranieri porteranno a nuove sorprese.

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