Milano - Bella forza fare l’«interprete», ovvero cantare le canzoni di altri, se si ha la passione e la voce elastica - fatta ora di pieghe metalliche ora di ombre vellutate - di Fiorella Mannoia. Bella forza se al servizio di Fiorella si schierano autori come Ligabue, Fossati, Battiato, Tiziano Ferro, Pino Daniele, Bungaro e il fedele Piero Fabrizi. Bella forza eppure in Il movimento del dare, la cantante tira ancora la zampata vincente, fa la differenza appropriandosi delle canzoni (il passo rock di Io posso dire la mia sugli uomini firmata Ligabue o la funambolica esplosione ritmica di Io cosa sarò di Jovanotti passando per Il re di chi ama troppo o Il movimento del dare in duetto con gli autori Ferro e Battiato) e trasformandole nel riflesso vocale della sua arte.
Dopo la sbornia brasiliana di «Onda tropicale» si rituffa nella canzone d’autore italiana.
«A sette anni dal mio ultimo album di inediti, sento l’emozione dell’esame».
Una vecchia volpe come lei?
«Lavoro per piacere al pubblico, quindi la tensione è notevole. In questi anni ho fatto di tutto; il magnifico quartetto con Ron, De Gregori e Pino Daniele, parecchie tournée, due anni per incidere l’album brasiliano con Veloso, Nascimiento, Buarque e finalmente ora son tornata».
Come convince tante megastar a scrivere per lei?
«A volte per stima e amicizia, altre per sfida e per curiosità. Fossati è il prezioso amico di sempre e ci capiamo al volo con lo sguardo; con Battiato da anni ci ripromettevamo di collaborare; Ligabue ha una penna fertile che parla di sentimenti cogliendo appieno il punto di vista delle donne. Poi ero attratta da autori lontani da me per età e per linguaggio e mi ha contagiato l’energia di Tiziano Ferro e Jovanotti».
Oggi è una moda quella dei duetti e delle collaborazioni tra star: vi radunate come una specie protetta?
«Io parlo per me e dai duetti comunico e ricavo tanta allegria. Non si può cantare chiudendosi in se stessi; così scappa l’entusiasmo. I tour con Ron, De Gregori e Daniele, io sono cresciuta, in quell’ambiente di amicizia, sano antagonismo e gioia per il successo degli altri».
Lei crede molto nel messaggio delle canzoni.
«Le belle canzoni devono emozionare, far riflettere, ridere, piangere, ballare. Io ho le mie idee ma le canzoni non sono un’arma politica, chi le canta riflette un momento storico. Ad esempio nel cd c’è Sogno di Ali, Ninna nanna per Abdhul Ali, il bimbo ferito da un proiettile vagante in Afghanistan».
Una Mannoia meno impegnata?
«No, ma il Brasile mi ha insegnato a vivere con leggerezza. Noi artisti siamo portati a pensare che il mondo giri attorno a noi, invece dopo aver vissuto e cantato in Sudamerica sono più ironica, mi diverto, ballo e rido di più».
Perché non scrive canzoni?
«Ho provato ma non mi sento all’altezza. Non mi piace cantare le banalità degli altri e a maggior ragione neppure le mie».
Che differenza c’è per lei tra cantante e interprete?
«Una interprete deve essere un po’attrice per vivere tanti ruoli diversi, trovando nella sua anima la forza di comunicare emozioni. E sei hai ottimi registi e un buon impianto scenico è più facile».
Con la crisi del disco spariscono i dischi di media qualità e volano in classifica solo le star come Conte, Fossati, Vanoni.
«Eh sì, noi vecchi siamo un po’ avvantaggiati; si spende poco e su prodotti consolidati. Finalmente c’è un po’ di meritocrazia. Comunque io credo molto nei giovani; ora tocca a loro perché noi, della mia generazione, abbiamo già dato».
Le piacerebbe che qualche poeta o scrittore scrivesse per lei?
«Questi incontri non sono mai andati a buon fine. Si tende ad accomunare poesia e canzone, che sono parenti intimi ma non gemelli.
Porterà il disco in tournée?
«Partirò a febbraio. E il mio palco sarà sempre aperto agli autori che hanno collaborato».
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