Manovra lacrime e sangue Grecia paralizzata dagli scioperi dei trasporti

È muro contro muro, mentre il clima sociale, in Grecia, tira ormai sul "brutto stabile". E così, hanno fatto sapere i lavoratori in sciopero con i tamburi e le trombe a "quelli" del governo, premier Papandreu in testa, sarà nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Ventiquattr'ore di stop nei trasporti pubblici, in guerra per la terza settimana consecutiva contro la riforma del settore, e tre ore di sciopero generale contro il piano di austerity culminate ieri sera in una grande manifestazione nel centro della capitale. Non andavano i treni, non andava il metrò, non andavano i tram e gli autobus urbani e suburbani. Ieri funzionavano solo i traghetti e gli aeroporti. E dunque il marasma automobilistico, aggravato dalla ineludibile necessità di sacrificare al Dio del Consumo (che non teme la parola sciopero) in vista del Natale, ha raggiunto ieri vertici da… tragedia greca, verrebbe voglia di dire.
Un clima di tensione crescente che i frequenti allarmi (una bomba in un ufficio postale nei pressi del ministero delle Finanze, era la voce, poi rivelatasi infondata, che correva ieri pomeriggio) acuiscono insopportabilmente.
Le proteste sono coincise con il voto da parte del Parlamento, ieri sera, della Finanziaria 2011, che comprende una manovra più grande del previsto per tappare un buco da 6 miliardi di euro emerso in seguito alla revisione al rialzo dei bilanci 2009 e 2010 da parte di Eurostat. Un voto sul filo del rasoio, visto che come il governo di Berlusconi, anche quello di Papandreu dispone di una maggioranza risicata: 156 voti su 300 parlamentari, senza contare che tra le fila dei deputati socialisti trapela un crescente scontento.
La manovra non contiene nuovi tagli a salari e pensioni, ma gli animi della gente sono ugualmente esasperati, e le proteste volano fino alle stelle. Protestano i lavoratori, protesta l'opposizione, protesta la Chiesa e lievitano dissensi anche all'interno del partito di governo, ma Papandreu non sente ragioni. Il suo obiettivo non è mutato: ricondurre il deficit sotto il 3 per cento del Pil entro il 2014 e varare le riforme necessarie a trasformare il Paese. Ci sarà da mandar giù qualche boccone amaro, e sacrificare moltissimo della sua popolarità sull'ara del consenso, «ma quando nel 2013 ci guarderemo indietro, saremo fieri di ciò che abbiamo fatto per salvare il Paese» ha detto Papandreu ai deputati socialisti.
«Ladri, ladri», «è il governo della bancarotta», «la crisi pagata dai lavoratori», gridava invece la folla che marciava compatta, ieri sera, verso la piazza del Parlamento.
La manovra, che passa mentre le agenzie di rating minacciano nuovi declassamenti per il debito sovrano greco, contiene aumenti di tasse e riduzioni di spesa che rischiano, secondo sindacati ed economisti, di approfondire la recessione e di aumentare una delle più alte disoccupazioni d'Europa. Ma è anche vero che senza una cura da cavallo, che sta mandando a picco la popolarità dei socialisti, la Grecia non riuscirà ad onorare i suoi impegni nei confronti dell'Europa. Ne approfittano, come condor appollaiati sui rami di un virtuale albero senza frutti, i comunisti del Kke. Malgrado i sondaggi e i risultati delle recenti elezioni amministrative confermino infatti che il Pasok resta il primo partito, le perdite di consenso sono piuttosto vistose, mentre lievitano le "azioni" del Kke che guida la protesta.
Il Kke, che rimane il terzo partito, è l'unico in aumento, passato dal 7,5% delle elezioni politiche al 10,5% di quelle amministrative di novembre e con una proiezione vicino al 12% in vista di un nuovo voto legislativo.

Brutta storia per Papandreu, poiché se i comunisti raggiungessero il 15% potrebbero, in presenza di uno stallo del Pasok e di considerevoli perdite per Nuova Democrazia (Nd, centrodestra) rompere il bipolarismo di fatto Pasok-Nd che ha congelato per decenni il sistema politico greco.

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