Il tradizionale tormentone di fine agosto sulla legge finanziaria sta lentamente scivolando nel grottesco. Da un lato economisti che chiedono genericamente tagli alla spesa dimenticando lo sviluppo e dallaltro lato partiti della sinistra radicale che vogliono risanare i conti ma non vogliono che si tocchino sanità e previdenza aiutati, in questo, dalle minacciose richieste delle organizzazioni sindacali. La verità è che una manovra di 30 miliardi di euro non cè e né potrà esserci. Per farla, infatti, bisognerebbe aumentare di 1-1.5 la pressione fiscale e mettere mano a tagli brucianti nei settori della sanità e della previdenza accompagnandoli, però, con massicci interventi di «unatantum». Le misure strutturali, infatti, hanno bisogno di tempo per produrre i risparmi voluti mentre le «unatantum» hanno effetto immediato sui conti pubblici. E i 4 miliardi di risparmio che il ministero dellEconomia pensa di avere nel solo settore Sanità con la lotta agli sprechi non stanno né in cielo né in terra. Analoga questione vale per la previdenza. Tanto per avere unidea, se per un anno bloccassimo tutti i nuovi pensionamenti risparmieremmo solo per quellanno 5-6 miliardi di euro dando così il tempo necessario alle misure strutturali per incidere definitivamente sulla spesa previdenziale (elevazione età pensionabile, modifica dei coefficienti di trasformazione e così via per i lavoratori e via di questo passo). Per non parlare del tempo che richiede la chiusura annunciata delle strutture periferiche di molti ministeri. Potremmo continuare negli esempi ma basterà ricordare la precedente esperienza dello stesso governo Prodi. Nel 1996 Prodi fece una manovra di 62mila miliardi di vecchie lire (30 miliardi di euro) e per realizzarla fu costretto a fare due «unatantum» (la tassa sullEuropa e il prelievo sul Tfr) oltre ad un notevole incremento del prelievo tributario e contributivo. E quella era lepoca in cui il calo internazionale dei tassi dava una mano potente alla riduzione della spesa per interessi. Oggi accade lesatto contrario visto laumento dei tassi (quelli avvenuti e quelli che probabilmente avverranno). Per parlare infine dello sviluppo va ricordato che la riduzione del cuneo fiscale di 3 punti (i 2 punti dati al lavoratore resteranno un costo per le aziende) ci consentirà forse di non perdere altri 2 punti sulla produttività del lavoro il cui delta tra lItalia e gli altri Paesi è proprio di 2 punti lanno. Insomma, anche se il governo volesse rompere con il sindacato (il che non avverrà mai) dei 30 miliardi di cui si parla non cè traccia alcuna e purtroppo neanche del ventilato sviluppo.
Ed allora cosa fare per evitare di non fare niente o fare troppo poco? Coraggio e fantasia dovrebbero spingere il governo a mettere in vendita non quel che resta delle aziende pubbliche, ma almeno 10 milioni di metri quadri utilizzati dalla pubblica amministrazione, cioè immobili messi a reddito, che darebbero almeno 30 miliardi di euro da destinare tutti allo sviluppo. Insomma quel grande spin-off immobiliare che hanno fatto grandi aziende italiane (Eni, Enel, banche) e straniere per finanziare crescita e innovazione.
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